I dati anonimi sulla nostra posizione trasmessi dai cellulari consentono di identificarci.
Sono impronte digitali, secondo lo studio del MIT
di Claudio Leonardi*
I nostri spostamenti nel corso di una giornata sono una specie di impronta digitale, che un cellulare semplicemente connesso alla rete consente di rivelare.
Anche se i dati sulla nostra posizione trasmessi tramite Internet sono assolutamente anonimi, secondo un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Harvard e dell’Università Cattolica di Louvain, consentono di riconoscerci e risalire alla nostra identità.
Dopo 15 mesi di analisi su informazioni di telefonia mobile provenienti da più di un milione di soggetti, è emerso che i modelli di mobilità umani sono così prevedibile che è possibile identificare un utente solo da quattro punti.
Insomma, per chi è geloso della propri privacy sarebbe in arrivo un’altra preoccupazione.
La diffusione di telefoni cellulari e applicazioni per smartphone ha inaugurato un’era in cui enormi quantità di dati sono disponibili per le aziende, che possono ridistribuirli “anonimi” o sotto forma di insiemi aggregati.
Si tratta, come si è più volte ricordato, del petrolio della Rete, fonte vitale per gli inserzionisti e i fornitori di servizi, ma anche per centri commerciali, servizi di emergenza, e, non dimentichiamolo, una nuova sociologia.
Ma qual è il prezzo per la privacy?
Studi recenti avevano già evidenziato che i modelli umani di movimento, apparentemente casuali e imprevedibili, sono in realtà molto limitati e caratterizzati.
Questa nuova ricerca ha quantificato precisamente i dati necessari per individuare in modo univoco una persona.
“Nel 1930, è stato dimostrato che sono necessari 12 punti per identificare e caratterizzare le impronte digitali,” ha spiegato alla Bbc il principale autore dello studio, Yves-Alexandre de Montjoye del MIT, “Quello che abbiamo fatto qui è la stessa cosa, ma con tracce di mobilità. Il modo in cui ci muoviamo e il comportamento è talmente unico che quattro punti sono sufficienti per identificare il 95% delle persone”.
Attenti a come vi muovete, potremmo sintetizzare, ma soprattutto attenti a farlo sapere:
“Pensiamo che questi dati siano più disponibili di quanto si pensi” ha dichiarato de Montjoye, “Quando si condividono queste informazioni, ti guardi intorno e ti accorgi che ci sono un sacco di persone - in un centro commerciale o in un luogo turistico - così si ritiene che queste non siano informazioni sensibili”.
Gli studiosi, però, sottolineano che la protezione dell’anonimato è inversamente proporzionale alla “risoluzione dei dati trattati”.
In pratica, trattando i dati come fossero pixel, è chiaro che tanto più è in HD l’immagine, e quindi tanto più è densa la quantità di pixel, maggiore è la nitidezza del ritratto.
Per fare un esempio pratico: un servizio sul traffico non può funzionare a “bassa risoluzione”, cioè tracciando qualche dato sparso nella giornata. Hanno bisogno di dati calcolati su ore, se non minuti. Inoltre, a colmare eventuali lacune in questo complesso modello matematico basato sugli spostamenti, subentrano servizi di localizzazione a cui le persone aderiscono liberamente, da Foursquare, ai tweet geograficamente identificabili.
Ma lo scopo dello studio non è fare ulteriore terrorismo sui Big Data o sui servizi online.
Anzi.
Il modello matematico messo a punto vorrebbe fornire un criterio di valutazione obiettivo su costo e opportunità, capire cioè quanto alto è il rischio per la privacy in rapporto però ai tanti benefici garantiti dalle app, dai social network, dalle connessioni mobile e così via.
Lo stesso Montjoye ha sottolineato alla Bbc che i dati relativi all’ubicazione vanno molto al di là di semplici problemi di privacy.
“In realtà - ha spiegato - non credo che dovremmo smettere di raccogliere o utilizzare tali dati perché abbiamo troppo da guadagnarci tutti noi, imprese, scienziati, e utenti”.
Nessuna minaccia da Grande Fratello, insomma, ma una consapevolezza in più: “anche se non c’è nome indirizzo e-mail possono ancora essere dati personali, quindi devono essere trattati di conseguenza”.
*www.lastampa.it