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La manovra di luglio era di 45 miliardi in tre anni,

quella di agosto di altri 45 miliardi più quella di luglio

= 90 miliardi ma in due anni.

Tra le misure che si stanno prendendo non ce n’è una che non tocchi il benessere dei lavoratori e pensionati, alcune addirittura, come la possibilità di licenziamento senza giusta causa, i ticket, le pensioni, gli stipendi dell'impiego pubblico ecc., non lasciano spazio a dibattiti. In particolare quella sui licenziamenti.

Anche se la misura sui licenziamenti “leggeri” (cosa che la Confindustria chiede da sempre) sembra sia stata “suggerita” dalla famigerata lettera della Bce (mai pubblicata), rimane un punto oscuro nella manovra.

Per questo vien da chiedersi: come può influire sulla soluzione della crisi il diritto a licenziare?

Che attinenza ha tale diritto col rapporto Pil/debito?

Se il problema principale della crisi è la diminuzione del Pil e il continuo aumento del debito, licenziare in base alle esigenze dell’azienda significa ridurre personale dipendente, l’unico di cui si ha la certezza che paghi le tasse.

Si, perché le aziende, dovendo essere competitive sul mercato per poter vendere il prodotto, devono investire in nuove tecnologie che permettano loro di immettere sul mercato prodotti sempre più evoluti e perfezionati (non perfetti).

Però per fare ciò, non possono investire in ricerca e macchinari mantenendo l’attuale occupazione. Non possono spendere milioni di euro per macchinari in grado di sostituire la manodopera umana senza diminuirla; il numero di dipendenti varierà cosi drasticamente sia nel numero sia nella tipologia di contratto.

A questo punto è lecito presupporre che la manodopera prevalente sarà quella a contratto determinato a scapito di quello indeterminato, fisso.

Ciò significa che si avrà la percezione di una occupazione costante, cioè il numero degli occupati non diminuirà, ma non essendo a tempo pieno, non assicurerà ad essi la possibilità di programmare liberamente il loro futuro  

Si avrà, insomma, una massa di dipendenti che, più che essere dipendenti dalle aziende, lo saranno dallo stato.

Licenziare o assumere a tempo determinato assicurerà alle aziende un buon margine di certezza per il loro sviluppo, e guadagno, ma limiterà le entrate fiscali da lavoro dipendente e sulla persona fisica aumentando la spesa sociale per la creazione delle strutture necessarie a re-immettere sul mercato del lavoro quanti vengono estromessi (come chiesto dalla Bce).

Ciò significa che, se da una parte il Pil aumenta, dall’altra aumentano anche le spese a carico dello stato.

Però lo stato sembra non disponibile in questo senso e ce lo dice chiaramente nella manovra  con la riduzione dei flussi agli enti locali (comuni province e regioni) che dovrebbero essere preposti a questo compito e i continui tagli al sociale.

Dunque, quella dei licenziamenti sembra più un provvedimento a favore delle aziende fine a se stesso e non collegato con l’attuale problema economico: rapporto Pil/debito.

Un provvedimento che, come s’è visto, porterà si un aumento del Pil, ma a scapito della potenzialità di spesa dei contribuenti essendo messi nelle precarie condizioni di non sapere come e quando la loro posizione si stabilizzerà, unico presupposto per poter affrontare spese consistenti come quelle del mutuo per la casa ma anche ferie e, comunque, spese su prodotti superflui.

Prodotti che nell’economia capitalista attuale, basata sul consumismo, sono alla base della creazione della ricchezza. Inoltre, il minor flusso di capitale dalle tasche del contribuente al terziario, determinerà anche una diminuzione degli investimenti dato la scarsa richiesta del prodotto.

Da http://italian.irib.ir/analisi/articoli/item/95469-italia-varato-il-decreto-anti-crisi

Fonte notizia: la repubblica.it

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