Si tende a pensare che la riduzione delle imposte sia uno slogan più che la ricetta per rendere tutti più ricchi
di Nicola Porro*
Si tende a pensare che la riduzione delle imposte sia uno slogan più che la ricetta per rendere tutti più ricchi.
Sì, avete sentito bene: tutti più ricchi.
È una di quelle frasi fatte, che escono dalla bocca dei politici come onestà, competenza, merito e bla bla. Tutte cose giuste, ma che appunto sembrano pronunciate a beneficio di un'audience e non fino in fondo credute.
Ieri questa Zuppa ha riunito un piccolo, ma significativo, parterre di italiani che vivono a Miami, in Florida, per il ciclo di eventi chiamato LaRipartenza, e che proprio l'anno scorso, in piena pandemia, esordì al Petruzzelli di Bari.
È incredibile come, quello che molti ritengono uno slogan, in realtà sia il meccanismo più importante che mette in moto la nostra economia.
La Florida, il cui governatore è Ron Desantis, di origini abruzzesi, di Pacentro, che tutti guardano con un sorrisino, ha un Pil, una ricchezza prodotta in un anno, superiore ai mille miliardi di dollari, e in rapida crescita.
Per dare una dimensione è superiore a quella prodotta dalla Russia.
La sua disoccupazione è ai minimi storici e inferiore al cinque per cento: ciò vuol dire che essa praticamente non esiste.
Chi non lavora, semplicemente non vuole lavorare o è in cerca di lavoro.
Il segreto si chiama tasse ridotte all'osso.
E, di conseguenza, spesa pubblica minima.
Grazie a questa ricetta, molto semplice, è in pieno boom.
Da Marco Segato, boss delle barche di lusso SanLorenzo in America, all'immobiliarista Valerio Morabito, da Gianluca Vacchi a Miki Grendene, tutti gli imprenditori italiani trasferiti a Miami, ci hanno raccontato la stessa storia: poca burocrazia, tasse ridotte e chi sbaglia paga.
La Florida in un anno ha accolto più di trecentomila immigrati.
Ha trovato loro un posto di lavoro e, grazie a essi, il Pil ha fatto boom.
La tassazione in America si compone di due «botte»: quella centrale di Washington e quella locale degli Stati Federali.
Già le tasse nazionali sono più generose di quelle italiane: l'aliquota massima della tassazione sul reddito è del 37 per cento, contro il nostro 43%.
E da noi si applica a partire da 75mila euro, da loro solo se si superano i cinquecentomila dollari l'anno.
A queste imposte federali, che cioè si applicano a tutti gli americani, si devono però aggiungere anche le tasse statali.
Ebbene, la Florida le ha azzerate.
Ciò vuol dire che, a differenza dello Stato di New York o della California, chi vive in Florida non deve pagare un dollaro in più rispetto a quanto ti chiedono a livello centrale.
E non sono spiccioli: lo Stato di New York arriva a chiederti addizionali che possono arrivare al 10 per cento.
Insomma, come ha detto alla Ripartenza di Miami il fiscalista Marco Cerrato: «Ciò che succede in America è simile a ciò che avviene con la concorrenza fiscale in Europa.
E cioè all'interno degli Stati Uniti ci sono Stati che, grazie alle loro imposte basse o nulle, attirano imprese e individui da Stati considerati fiscalmente pesanti».
E la cosa, come abbiamo visto, funziona alla grande. Ha innescato un meccanismo virtuoso: meno imposte, più contribuenti, più ricchezza e meno disoccupazione.
Il governatore Ron Desantis ha poi pensato che alla libertà economica si dovesse unire anche la libertà politica: il suo comportamento nella gestione della pandemia è stato prudente, ma senza molte restrizioni.
È la responsabilità personale che ci salva, non le regole imposte da un Dpcm.
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