Il settore pubblico in Italia, una vera e propria Disneyland
di Cesare Alfieri*
Come dimostra il mega ponte di ben dieci giorni (dieci) di vacanza prima delle ulteriori altre vacanze natalizie e di inizio anno, la politica usufruisce, come tutto il settore pubblico tanto inefficiente quanto inutile, di lunghi periodi di vacanza dal “lavoro” da noi tutti retribuito, pagato con le nostre tasse esose.
Questo tipo di ponti e festività esistono solo in Italia, non esistendo niente del genere in nessun altro Paese d’Europa.
In nessuna parte cioè, a metà della settimana, si interrompe il lavoro e ci si attacca, tra sabato e domeniche, ancora un altro periodo ed altri giorni di assenza.
Gli italiani con lo stipendio pubblico “fisso”, cioè con quello che noi tutti paghiamo a nostre spese ogni mese all’apparato pubblico ed alla pubblica amministrazione, politica inclusa, se ne stanno in panciolle oppure organizzano un bel ponte di una decina di giorni, come da ultimo, da aggiungere ai successivi giorni natalizi.
Ciò mentre gli altri italiani, cioè quelli che non ricevono lo stipendio pubblico a fine mese ovvero i liberi professionisti e lavoratori autonomi, se vogliono arrivare a fine mese devono sgobbare tutti i giorni, alla faccia di ponti, estati o feste natalizie in genere.
L’ l’Italia è per il settore pubblico, per gli italiani “pubblici”, una vera e propria Disneyland in cui il lavoratori dipendente e l’impiegato pubblico vive e si trastulla a spese dell’Italia tutta, e a spese dei lavoratori autonomi.
E politici e pubblica amministrazione credono tuttora, e continuano a credersi, abitanti dell’Italia/ Disneyland disponendo di sempre numerosi “ponti” di vacanze retribuite, accampando “diritti” in modo da fare vacanze in estate, in inverno, primavera ed autunno, a Pasqua, a Natale, sempre.
Tanti, numerosissimi diritti insopportabili e nessun dovere.
La legge italiana riconosce stoltamente e dà una serie infinita di “diritti” atti a non fare “lavorare”, per cui un anno solare si riduce a una manciata di giorni in cui gli italiani “pubblici” qualcosa si devono inventare e fare, o meglio fare finta di fare.
Si tratta di “lavoro” che non è essenzialmente tale perché, nel settore pubblico, non esiste neanche l’idea di un reale effettivo controllo, e soprattutto nessuna responsabilità per ciò che si fa.
Nessuno risponde di niente. Tutti si assolvono. E fanno un sacco di vacanze.
L’importante per l’italiano “pubblico” è volare basso, cioè non farsi venire la fregola della consapevolezza o qualche altra astrusità efficentista perché sono guai e tocca prendere atto che il sistema è a frega compagni di tutti gli altri e che si è sostanzialmente un peso, economico e sociale, a carico della collettività.
Non solo. Si prendano ad esempio, le buche assassine dei cittadini nella città di Roma che oggi vengono riparate da alcuni cittadini volenterosi, stante l’inattività non solo di quelli che vengono all’uopo retribuiti con pubblico stipendio ma anche dell’intera filiera della pubblica amministrazione che dovrebbe coordinare e gestire.
Non solo cioè la pubblica amministrazione è pagata da tutti noi italiani con mega tassazione tartassante a nostro carico ma la stessa non fa neanche quel poco che le si chiede di fare.
Ci si chiede, di conseguenza, cosa fa e a cosa servono le società e la pletora di impiegati pubblici, di italiani “pubblici”, addetti alla manutenzione stradale pagati dai romani?
La risposta è che non fanno niente e servono essenzialmente al nulla, escluso ovviamente per sé, a fine mese, per la retribuzione mensile pubblica cioè gratuita che gli italiani loro elargiscono.
Si è preso ad esempio il settore dell’amministrazione pubblica stradale, ma ogni ambito afferente al pubblico, alla pubblica amministrazione, è viziato all’origine da questo problema.
Perché? Perché manca la responsabilità. Che non è quella propria di ciascun individuo, personale o sociale, ma la responsabilità che si ha quando si è costretti, obbligati, legati a filo doppio, a rispondere del proprio lavoro, di quanto fatto.
Nessun giudice “funzionerà” mai come deve senza rispondere di quanto fatto, né medico pubblico, o professore statale di scuola come di università pubblica, o qualsivoglia impiegato dello Stato.
E’ nell’essere “pubblico” il problema. E’ nell’assenza totale di dovere rispondere del proprio lavoro, per la propria stessa sussistenza.
Chi risponde del proprio lavoro, è incollato al medesimo e non fa certo ponti o vacanze di sorta. E lo fanno tutti gli italiani non dipendenti pubblici che vivono del proprio lavoro, rispondendone.
Fa impressione oggi sentire la sciagurata Fornero, dipendente pubblica raccomandata come marito e figlia all’università pubblica, dopo avere combinato il disastro esodati in qualità di ministro illegittimo di un governo mai votato dagli italiani, osare fare pure la ramanzina ai trentenni in difficoltà col lavoro che non c’è in Italia.
La Fornero esorta a fare un lavoro che lei non ha mai fatto perché non è certo lavoro stazionare nell’ università pubblica da raccomandati a carico degli italiani tutta la vita.
Voglio essere ancora più chiaro, i giovani non hanno e non trovano lavoro perché in Italia abbiamo dato da mangiare con tutti i privilegi alla Fornero dipendente pubblica.
Le università italiane pubbliche sono oggi infatti l’apice della fregatura rifilata ai giovani in quanto “preparati” da gente che non ha mai lavorato e non sa di cosa si parli né di cosa andranno a potere “parlare” i nostri poveri studenti italiani nel mondo del lavoro vero.
La Fornero, per intenderci, è servita tutta la vita a se stessa, per lo stipendio gratis pagato da noi tutti italiani stratassati, ma affatto agli studenti imbrogliati su una preparazione ed un lavoro che tali non sono.
Ed ecco poi come funzionano i concorsi pubblici in Italia, a tutti i livelli ed in ogni settore pubblico. Sono i concorsi dei soliti amici.
Si veda solo da ultimo l’ennesimo esempio, cioè il concorso al Museo nazionale romano (stipendio pubblico e lavoro pubblico, cioè non lavoro) in cui i posti sono andati ai candidati di sinistra di Franceschini, tra gli altri, un’ex speaker di Radio Città Futura ed un ex caporedattore dell'Unità, vale a dire il quotidiano “salvato” da Renzi (ex sindaco pubblico di sinistra con moglie inserita nella scuola pubblica anch’essa a nostre spese) con i soldi di tutti gli italiani.
I concorsi pubblici per lavorare in posti statali sono tutti “raccomandati”, segnalati, non c’è né selezione, né merito né competenza.
Si guardi ancora allo scandalo dei concorsi nelle scuole, nei ministeri, nelle istituzioni pubbliche, nelle università statali, in magistratura, nell’avvocatura dello Stato, in tutte le numerosissime Autorità pubbliche (Antitrust, Consob, Autorità delle comunicazioni, per la privacy di Rodotà eccetera) insomma in ogni anfratto e istituzioni pubblici, sono tutti truccati, si imbarcano stipendiati pubblici senza merito né competenza alcuna, oltretutto pure a vita cioè sul groppone di tutti noi, e senza che debbano o dovranno mai rispondere di alcunché riguardo ciò che fanno, hanno fatto e combinato.
L’unica possibilità che ha l’Italia di riordinarsi e riorganizzarsi è nel privatizzare tutto quanto il privatizzabile.
Come dimostra il caso dei soldi pubblici ai partiti e da ciò che incassa pure il Movimento 5 stelle che ne aveva fatto la propria bandiera, la ristrutturazione nel senso della privatizzazione verrà da sé per necessità dovuta a venire meno di soldi per tassazione impossibile.
E’ solo questione di tempo, l’Italia ci arriverà per disperazione.
Oggi, con il voto a oltranza degli italiani, si riordina un po’ prima del disastro.
E’ necessario cioè gettare ed immergere l’intero apparato pubblico statale italiano nel mercato, convertirlo in privato, in lavori utili, produttivi, efficienti, il più possibile autonomi economicamente, operare cioè una meticolosa quanto rigorosa progressiva ristrutturazione dello Stato.
Chi non vuole vederne la necessità, e continua a incassare per sé, fa male i calcoli che dovrà fare a rottamazione, quella sì davvero tale, italiana sociale ed economica avvenuta.
Riavviare la produzione in Italia, rendere il lavoro esistente, produttivo ed utile, traghettare il Paese ad esistere anche in futuro, nel futuro.
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