Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, insieme al Parco Nazionale della Majella e al Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga è uno dei tre parchi nazionali dell'Abruzzo.
E' compreso per la maggior parte (3/4 circa) in provincia dell'Aquila in Abruzzo e per il rimanente in quella di Frosinone nel Lazio ed in quella di Isernia nel Molise.
E’ stato inaugurato a Pescasseroli il 9 settembre 1922, mentre l'ente omonimo era stato già costituito il 25 novembre 1921 con direttorio provvisorio.
La sede e la direzione del parco sono a Pescasseroli.
Il Parco nazionale d'Abruzzo, con la legge n. 93 del 23 marzo 2001 Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, denominazione che non implica trasformazioni amministrative, coevo al Parco Nazionale del Gran Paradiso, è il più antico parco d'Italia noto a livello internazionale per il ruolo avuto nella conservazione di alcune tra le specie faunistiche italiane più importanti, quali il lupo, il camoscio d'Abruzzo e l'orso bruno marsicano, nonché per le prime e numerose iniziative per la modernizzazione e la diffusione localizzata dell'ambientalismo.
È ricoperto da boschi di faggio per circa due terzi della sua superficie.
Si estende prevalentemente in territorio montano e pastorale, dove non è praticabile la coltura della vite e dell'olivo, sconfinando nel piano delle colture nelle valli del Giovenco e in Val di Comino.
Il parco è raggiungibile dall'alta Marsica, uscita di Pescina dell'A25, e dall'Alto Sangro attraverso la Strada statale 83 Marsicana che lo attraversa da nord a sud-est toccando centri turistici come Pescasseroli, Opi, Villetta Barrea, Civitella Alfedena, Barrea e Alfedena.
Accessi secondari provengono da Cocullo (A25) attraverso la Strada statale 479 Sannite passando per la Valle del Sagittario e Scanno-Passo Godi, e dal territorio laziale attraverso il valico di Forca d'Acero e l'omonima Strada Statale 509.
Il Parco nazionale d'Abruzzo fu inaugurato su iniziativa privata nel 1922 e riconosciuto nel 1923, con RDL 257 dell'11 gennaio 1923.
Al territorio attuale si giunse dopo successive integrazioni.
La gestione è dell'Ente Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise con sede a Pescasseroli, interessa 25 comuni distribuiti nelle province di Frosinone, Isernia e L'Aquila.
Il Parco interessa 25 comuni distribuiti in tre province
• Provincia dell'Aquila:
o Alfedena, Barrea, Bisegna, Civitella Alfedena, Gioia dei Marsi, Lecce nei Marsi, Opi, Ortona dei Marsi, Pescasseroli, Scanno, Villavallelonga, Villetta Barrea.
• Provincia di Frosinone:
o Alvito, Campoli Appennino, Pescosolido, Picinisco, San Biagio Saracinisco, San Donato Val di Comino, Settefrati, Vallerotonda.
• Provincia di Isernia:
o Castel San Vincenzo, Filignano, Pizzone, Rocchetta a Volturno, Scapoli
Nel 1980 ha avuto inizio la zonizzazione del parco, cioè la sua suddivisione in zone a diversa protezione ambientale per poter conciliare le opposte esigenze della protezione della natura e degli sviluppi urbanistici delle popolazioni locali.
Il forte isolamento in cui il territorio dell'Alto Sangro giaceva da secoli aveva permesso la conservazione di una rilevante quantità di specie animali e vegetali degni di conservazione; non tutto era stato trasformato in pascolo.
Alle timide iniziative locali di istituire una riserva di caccia sul modello di quelle del Piemonte venne incontro la famiglia Sipari, ricchi proprietari di Pescasseroli e di Alvito imparentati col filosofo Benedetto Croce.
Si adoperarono per la realizzazione nel territorio dei comuni di Opi, Pescasseroli, Villavallelonga, Collelongo, Lecce nei Marsi, Gioia dei Marsi, Balsorano e Castellafiume della Riserva reale dell'Alta Val di Sangro, istituita nel 1872 da Vittorio Emanuele II.
Tale forma di tutela proseguirà sino al 1878, data nella quale verrà abolita.
Nuovamente istituita nel 1900, resterà in vigore sino a tutto il 1912; contemporaneamente Erminio Sipari iniziò a dar voce alla prima iniziativa in Italia di istituzione di un Parco Nazionale sul modello dello Yellowstone statunitense.
Insieme ad Erminio Sipari, i primi a proporre la realizzazione di un Parco Nazionale in Italia furono il botanico Pietro Romualdo Pirotta, lo zoologo Alessandro Ghigi, lo scrittore Luigi Parpagliolo e l'associazione naturalistica federata «Pro Montibus et Sylvis».
Gli studiosi e gli ambientalisti della Pro Montibus notavano la concentrazione di specie appenniniche e la varietà di habitat di interesse nazionale nella Marsica: avanzarono il primo piano di tutela ambientale nel 1914, nel quale era previsto un grande parco, esteso dall'alveo del Fucino e la Conca Peligna a Castel di Sangro, dal fiume Liri e Valle di Comino alle pendici della Majella.
I costi eccessivi della realizzazione e del mantenimento fecero fallire l'iniziativa, alla quale però seguì un secondo più intenso coinvolgimento di associazioni e intellettuali nel progetto istitutivo.
Il 25 novembre del 1921, un anno prima dell'istituzione del Parco Nazionale del Gran Paradiso, Erminio Sipari e la Federazione Pro Montibus avviarono la gestione protetta di un piccolo fazzoletto di terra (circa 100 ettari), nelle località Val Fondillo e Camosciara, presa in affitto dal comune di Opi.
Nel 1923 l'Amministrazione del Parco è ufficialmente istituita, i confini si estendono anche ad altri comuni che solo in un secondo momento concessero il loro territorio alla protezione dell'Ente Autonomo costituendo così le vere fondamenta del parco attuale;
• ricadono nei primi confini parte del territorio di Civitella Alfedena e Villetta Barrea (Monte Petroso e Camosciara), Opi (Val Fondillo, Valle Fredda), Pescasseroli (Forca d'Acero, La Difesa), Villavallelonga e Collelongo (Valli d'Angro), Lecce nei Marsi e Gioia dei Marsi (Cicerana, Passo del Diavolo), Campoli Appennino e Alvito (Capo d'Acqua, Val Lattara), Settefrati, Bisegna (Terratta).
• nel 1925-26 espansione ai Monti della Meta in provincia di Frosinone (Picinisco, San Biagio Saracinisco, Vallerotonda) e in parte del territorio di Pizzone e della valle del Sangro.
Nello stesso anno la commissione amministratrice del parco destinò al taglio boschivo parte della Val Fondillo, provvedimento contrastato da Romualdo Pirotta, uno dei fondatori del parco, e che a seguito di ciò, si dimise dal corpo direttivo.
• nel 1926 è istituito il museo e lo zoo del parco a Pescasseroli, i primi rifugi e la sentieristica organizzata.
Fra i primi obbiettivi politici del parco si nota la tendenza a favorire presenze turistiche e soggiorni sportivi per convertire l'economia montana pastorale in un sistema compatibile con la tutela dell'ambiente.
• nel 1933 il regime fascista sopprime l'Ente Autonomo, probabilmente per i suoi legami con l'associazionismo cattolico (Giovani Esploratori) e per rafforzare la presenza nei parchi italiani della Milizia Forestale, che ottenne la gestione anche del Parco Nazionale del Gran Paradiso e dei nuovi parchi del Circeo e dello Stelvio.
Nel 1951 il governo democristiano dell'epoca firmò la ricostruzione dell'Ente autonomo.
La nuova direzione recuperava gli obiettivi del vecchio Ente, e oltre alle numerose assunzioni di personale di sorveglianza, alla promozione di ricerche scientifiche ed inoltre all'estensione dei divieti di caccia, si promosse la costruzione delle prime moderne infrastrutture per la ricezione del turismo, mobilitandosi senza successo nella realizzazione di strade e alberghi in zone di grande pregio con uno spirito oggi più che mai biasimato.
Sulla politica edilizia si innestarono poi, verso la fine degli anni cinquanta, le grandi speculazioni alberghiere e gli interventi per la realizzazione di impianti di risalita e di piste da sci in molti comuni del parco: L'amministrazione di Francesco Saltarelli, iniziata nel 1952, che tentava di opporsi all'ondata d'abusivismo, venne liquidata.
Furono così gli anni della grande espansione urbanistica di Pescasseroli e dell'aggressione indiscriminata del cemento, secondo un disegno speculativo che voleva la realizzazione di un grande comprensorio turistico-alberghiero da Roccaraso ai comuni della Val di Comino.
Un lungo periodo di commissariamento e di difficili battaglie per la tutela (nel 1967 il parco ottiene il diploma europeo per la conservazione della natura) terminò nel 1969 quando Franco Tassi divenne il nuovo direttore.
Nel 1969 Franco Tassi viene nominato direttore del Parco Nazionale d'Abruzzo.
L'amministrazione inizia il suo mandato mostrandosi subito decisamente contraria all'ondata di lottizzazioni che si ripresentava continuamente nei comuni più importanti.
Nel 1970 è istituita la Zona di Protezione Esterna, che ricalca in buona parte i confini del primo grande parco proposto dal Sipari e dalla Pro Montibus et Sylvis.
Nel 1976 il terzo grande ampliamento del Parco al massiccio del Monte Marsicano, scongiura la realizzazione di un grande sistema di piste da sci tra Pescasseroli e Bisegna sul modello della vicina Roccaraso.
Sono gli anni del grande successo del parco, il ripensamento dei precedenti disegni di sviluppo si concretizza nell'accoglienza selettiva del turismo ecologista e ambientalista, in contrasto con gli afflussi di massa.
Per la prima volta in Italia fu lanciato quel nuovo modello economico ambientale che trova il suo riferimento nello sviluppo economico di Civitella Alfedena.
Il 10 gennaio 1990 con il decreto del presidente della Repubblica Cossiga i comuni di Pizzone, Castel San Vincenzo, Rocchetta a Volturno, Filignano e Scapoli cedono parte della loro territorio ai vincoli della riserva per un totale di 4000 ha: nasce il «settore Mainarde», con il quarto grande ampliamento.
L'entusiasmo per una serie di grandi successi aumenta la popolarità nazionale ed internazionale della riserva, fino a diventare un riferimento per l'ambientalismo italiano e il focolaio attorno al quale sorgono i nuovi grandi progetti protezionistici che interessano non solo l'Abruzzo e le regioni vicine, ma tramite il WWF tutto il territorio nazionale.
Tra il 1990 e il 1999 il parco collabora all'istituzione del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e del Parco Nazionale della Majella, nonché alla realizzazione di un capillare sistema di riserve regionali minori che fanno dell'Abruzzo la regione italiana la più alta percentuale di territorio protetto.
Attorno all'amministrazione e al personale del parco si riuniscono una serie di associazioni ambientaliste e in Abruzzo vengono iniziate le prime importanti ricerche scientifiche in grado di mettere in luce l'importanza del sistema ecologico abruzzese e della sua protezione, modello per quanto avviene più recentemente nelle altre regioni italiane.
Al 1999 risale l'ultimo grande ampliamento del parco, 4.200 ettari nei comuni di Ortona dei Marsi e Bisegna nella valle del Giovenco
I grandi risultati ottenuti però non tengono conto dell'amministrazione economica. La crescita esponenziale del sistema organizzativo e il coinvolgimento di elementi estranei alla tradizione ambientalista e alla gestione finanziaria, come vincoli burocratici nazionali e regionali o il crescente interesse dei politici locali a partecipare alle decisioni amministrative dell'Ente Parco, condizionarono fortemente l'operato del personale della riserva.
Questa tendenza prosegue fino al 2002, quando una serie di vicende politiche e giudiziarie hanno messo fine alla così detta «era Tassi», vicende che non sono state ancora del tutto chiarite.
L'ex-direttore, oggi dimostratosi innocente, è stato inizialmente denunciato e quindi dismesso dalla sua carica dal comitato direttivo del Parco perché coinvolto in un contenzioso legale col comitato stesso che lo accusava di ordinare intercettazioni abusive durante le riunioni.
Il grande debito contratto durante la sua amministrazione e un presunto falso in bilancio portarono alla sua definitiva liquidazione da parte del presidente dell'Ente Parco Fulco Pratesi (in quegli anni presidente del WWF Italia), proprio allorché l'orientamento delle politiche ambientali nazionali e regionali stava cambiando.
L'originario disegno che prevedeva il coordinamento delle riserve protette istituende che ruotavano attorno alla promozione del parco nazionale fu dimenticato.
Non si tenne conto dell'impiego di risorse economiche e umane del Parco d'Abruzzo che portò alla concretizzazione del progetto e, piuttosto che intervenire in collaborazione con la riserva ormai indebitata, venne finanziata una sequenza di parchi speculari autonomi, per anni amministrativamente frammentati ed economicamente dispersivi.
A ciò si aggiunse la sfiducia delle popolazioni coinvolte e degli ambientalisti di fronte alle polemiche che sorsero in quegli anni.
Un periodo di incertezza è seguito alla caduta di Tassi, fino alla mozione di sfiducia della Comunità del Parco (istituita nel 1991 con la legge n. 394 sulle aree protette) verso Fulco Pratesi licenziato nel 2005 dalla carica di presidente dell'Ente Parco dal Ministero dell'Ambiente.
Dal 2002 al 2008 Aldo Di Benedetto, già vicepresidente dell'associazione Pro Natura, è il direttore facente funzioni e dall'8 agosto 2007, data in cui il ministro dell'Ambiente ha firmato il decreto di ricostituzione del consiglio direttivo, Giuseppe Rossi è il nuovo presidente del Parco, ponendo termine ad un lungo commissariamento dell'ente.
Dal 22 gennaio 2008 al febbraio 2011 il direttore generale del Parco è stato Vittorio Ducoli, già direttore del Parco dell'Adamello, sostituito prima come facente funzioni, poi dall'8 novembre successivo da Dario Febbo, già direttore del Parco Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga.
La politica è orientata prevalentemente verso il risanamento finanziario e al recupero del rapporto con le comunità locali e con le istituzioni politiche (celebre l'appello di Di Benedetto per sollecitare l'interesse politico verso la riserva all'ex-governatore della Banca d'Italia -quando era ancora in carica- Antonio Fazio, nato ad Alvito comune del Parco d'Abruzzo).
Si fronteggiano ancora le nuove forme di speculazione e aggressione edilizia, e nonostante tutto si opera per ricostruire una florida produzione scientifica ecologista e per la sistemazione del personale.
La storia geologica del territorio ricadente nel parco è la stessa di tutto l'Appennino centrale.
Le giogaie dei monti sono grossi sistemi calcarei generatisi tra il Giurassico inferiore ed il Cretaceo a seguito dell'emersione nel Paleocene dei grossi giacimenti lagunari della piattaforma carbonatica (estesa ipoteticamente a est di Pescasseroli) e della scogliera corallina (zona del Monte Marsicano e Montagna Grande di Scanno).
A seguito dell'emersione nel Miocene la laguna ed il mare aperto sono sostituite dai bassifondi che con la definitiva orogenesi del Quaternario formeranno gli strati di argilla ed arenaria che oggi si alternano alle montagne calcaree e ai depositi continentali.
Dove emergono gli strati argillosi passa anche la grossa faglia di sovrascorrimento, debolmente attiva: da Pizzone si dirama verso Alfedena e Barrea per poi proseguire diretta verso Villetta Barrea e Scanno lungo la valle del torrente Profluo.
Faglie dirette minori sono presenti attorno a Pescasseroli e sui monti di Pescosolido e Campoli Appennino.
La mobilità tettonica della zona è causa dei più recenti sismi, fra cui si ricorda il Terremoto della Marsica.
Le cime più alte presentano tracce evidenti dell'ultima glaciazione del Quaternario con circhi e rispettive tracce di morene ancora superstiti.
I più evidenti sono quelli dei Monti della Meta, Serra delle Gravare, del Monte Petroso e del Monte Palombo con la morena al Coppo della Polinella.
Le catene Montuose del Parco d'Abruzzo, appartenenti al gruppo dei Monti Marsicani, sono una delle dorsali fondamentali dell'Appennino abruzzese. Possono essere raggruppate in quattro gruppi fondamentali.
• Gruppo del Monte Tranquillo (1841 m s.l.m.), propaggine meridionale della Serra Lunga, sistema montuoso parallelo al corso del fiume Liri e della Valle Roveto fino al valico di Forca d'Acero.
Si sviluppa tra Pescasseroli, Alvito e Campoli Appennino, caratterizzato dalla presenza di evidenti fenomeni carsici quali campi di doline (Macchiarvana, La Difesa), uvale (Alvito), inghiottitoi, grotte e corsi d'acqua sotterranei affioranti per brevi tratti (Capo d'Acqua di Campoli Appennino). Forti pendenze del versante comiense, ricco anche di sorgenti (Lacerno, piana di Alvito).
• Gruppo del Monte Marcolano (1940 m s.l.m.), tra Pescasseroli e il Fucino. È una propaggine del sistema montuoso del Monte Tranquillo-Serra Lunga che da Pescasseroli si spinge verso l'altopiano del Fucino, tra le Valli del Sangro, la Vallelonga e l'alto Giovenco.
I monti non presentano brusche pendenze o dirupi, salvo qualche rottura di faglia nel Vallone Cavuto di Pescasseroli. Valli e altipiani carsici caratterizzano fortemente l'area attorno alle sorgenti del Sangro.
Grotte e inghiottitoi in località Cicerana. Nel comune di Gioia dei Marsi la cascata dell'Acqua Ventilata.
• Gruppo della Montagna Grande, tra Scanno e Villetta Barrea. Si estende dalla valle del Sangro alla valle del Sagittario e per un breve tratto fa da spartiacque ai due bacini fluviali. Caratterizzato da rocce calcaree, corrisponde ad una lunga faglia che si sviluppa parallela al corso del Sangro.
Le cime più alte sono il Monte Marsicano, le Toppe del Tesoro e il Monte Argatone. Debole carsismo al Ferroio di Scanno, Bisegna (Fonte Appia) e Pescasseroli (Pratorosso); sorgenti a passo Godi, fonte della Regina (con tracce di mercurio) e Scanno.
• Gruppo dei Monti della Meta, dal valico di Forca d'Acero alle Mainarde. Le cime più alte sono il monte Petroso (2.247 m) ed il monte Marsicano (2.242 m).
Ma la vera regina del parco è La Meta (al confine tra versante molisano e laziale) con l'affascinante parete NE che si affaccia sul pianoro dei Biscurri. Recentemente è stata inserita nel territorio del Parco anche la catena montuosa delle Mainarde.
• Nella Zona di Protezione esterna troviamo i 2.285 m del Monte Greco che con i monti circostanti costituisce la più alta, massiccia ed imponente giogaia del circondario.
Un territorio così spiccatamente calcareo sente fortemente dell'azione del modellamento idrico. Vasti campi di doline si distribuiscono sulla Serra Traversa di San Donato Val di Comino, sui monti di Settefrati e Pescasseroli. Disseminate per il territorio inoltre numerose grotte di piccole e medie dimensioni, nonché abbondanza di sorgenti carsiche.
Se infatti le sorgenti in quota sono limitate e a portata piuttosto discreta, alle falde dei principali complessi montuosi attorno ai 1100–1000 m circa s.l.m. sgorgano abbondanti le acque delle sorgenti Tornareccia e Grotta delle Fate nel comune di Opi, Aia Santilli, Iannanghera e Sorgente delle Donne di Civitella Alfedena, Rio Torto di Alfedena e Canneto a Settefrati (sorgente del Melfa), e la polla cristallina lungo il fiume Sangro di Fonte della Regina a Villetta Barrea con la portata media di 2000 litri d'acqua al secondo.
Tra i fiumi abbiamo ricordato già il Sangro, che nasce presso il passo del Diavolo e scorre nel cuore del parco fino ad uscire dai suoi confini ad Alfedena occupando la valle principale in cui si sviluppa la riserva. Riceve la maggiore quantità di acque dai torrenti Scerto e Fondillo, la vera e propria linfa vitale del fiume. A Barrea una diga genera con le sue acque il lago di Barrea.
Il settore laziale del parco ricade nello spartiacque del Liri ed entro i margini della riserva ricadono i fiumi Melfa a Settefrati e Mollarino che sorge presso San Biagio Saracinisco.
Il Giovenco, la cui valle oggi è quasi completamente inserita nel parco, è uno degli immissari del bacino del Fucino. Nel Molise le acque cadono entro lo spartiacque del Volturno che sorge nel comune di Rocchetta a Volturno, nel cui percorso si immettono il Rio Jemmare di Pizzone e il Rio San Pietro di Scapoli.
Nel comprensorio del Parco esistono alcuni interessanti laghi naturali come il lago Vivo, stagionale, il lago Pantaniello, riserva statale fra le cime del Monte Godi importante per l'elevata altezza e per le presenze ittiche, e il lago di Scanno, sorto a seguito di una frana nella valle del fiume Sagittario, presso Villalago e ai piedi dell'abitato di Frattura in comune di Scanno.
Il suo immissario principale è il Torrente Tasso, alimentato da un sistema di sorgenti minori attorno a Scanno oggi quasi tutte captate per il fabbisogno civico di risorse idriche di alta qualità.
Alcuni laghi artificiali sono stati realizzati nel dopoguerra nella Zona di Protezione Esterna: il lago di Cardito nel comune di Vallerotonda, il lago di Grotta Campanaro a Picinisco e il lago della Montagna Spaccata nel territorio di Alfedena, recentemente attrezzati per la ricezione del turismo ecocompatibile.
I grandi mammiferi sono stati la causa principale dell'istituzione della riserva. Un tempo tutti gli animali protetti nel territorio del parco erano diffusi lungo l'intero Appennino centromeridionale, costituendo popolazioni geneticamente autonome rispetto alle specie europee, spesso dei veri e propri endemismi, zoologicamente importantissimi ancora non del tutto studiati nella loro identità genetica.
• Orso bruno marsicano (Ursus arctos L. subsp. marsicanus Altobello), 30-50 esemplari circa. È il simbolo del parco che da sempre ha sconfinato in tutte le montagne dell'Abruzzo meridionale, del Lazio e del Molise, contando avvistamenti anche alle basse quote. Dai circa 80 esemplari registrati negli anni Ottanta, la presenza del plantigrado è scesa a non più di 50, concretizzandosi in tal modo l'elevato pericolo di estinzione, come avvenne negli anni Cinquanta (30 esemplari). La sua presenza è attestata, con più frequenza, nelle valli boschive dei Monti della Meta e nella riserva integrale del Feudo Intramonti, nel comune di Villetta Barrea. Con introduzioni di alberi da frutto selvatici e la regolamentazione degli accessi turistici, si è costruito un ambiente più idoneo alle sue necessità. Problematico è anche il bracconaggio che ogni anno elimina, tramite esche avvelenate, alcuni orsi.
• Lupo appenninico (Canis lupus L. subsp italicus), 40-50 esemplari circa.
È il predatore più importante del parco e di tutto l'Appennino, nel 1970 contava solamente una decina di esemplari, ma grazie all'estensione del territorio della riserva integrale, l'aumento delle popolazioni di Camoscio d'Abruzzo e l'introduzione di cervi e caprioli la specie ha registrato una costante crescita, fino alla accertata diffusione nel vicino Appennino laziale e toscano. Altri individui stanno colonizzando le Alpi, oltrepassando i confini storici dell'areale della specie.
• Lince (Lynx lynx L.), 10 esemplari circa. Fino a pochi anni fa non tutti gli studiosi concordavano sulla presenza della lince nel territorio del parco: la specie era stata considerata ivi estinta e molti ancora ritengono le popolazioni appenniniche frutto di reintroduzioni recenti. Due esemplari sono conservati e studiati in un'apposita area faunistica a Civitella Alfedena. Altre testimonianze parlano dell'avvistamento di un animale localmente noto come «lupo cervino» o «lupo cerviero» o «jattepàrde» tra Pescasseroli, Villavallelonga e Opi tra il 1940 e il 1970.
• Camoscio d'Abruzzo (Rupicapra pyrenaica ornata, già Rupicapra rupicapra ornata), 600-700 esemplari circa. Altro importante elemento, che insieme all'orso marsicano è endemico del parco, si è preservato dall'estinzione nei pendii della Camosciara (nome che ne testimonia la presenza relitta). Geneticamente vicino al Camoscio dei Pirenei, presenza vistose differenze col Camoscio alpino per il collare di pelo più scuro attorno al collo, collo che invece è completamente rivestito di una fine peluria chiara, in inverno bianca. Oggi ha recuperato territorio ed è diffuso sulle alture del Monte Amaro di Opi e del Monte Meta di Picinisco, nonché saltuariamente su tutte le pendici più ripide della riserva non più soggette a intenso pascolo. Dal parco d'Abruzzo sono partiti gli esemplari reintrodotti alle pendici della Majella e nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
• Cervo (Cervus elaphus L. subsp. hippelaphus), 700-800 esemplari circa.
Il cervo si era estinto nel parco già al momento della sua prima istituzione, nel 1921, e la sua assenza incise notevolmente sulla catena alimentare creando serie difficoltà per i predatori principali.
Nel 1971 furono introdotti dalle Alpi Orientali i primi esemplari che si stanziarono nei boschi alle pendici del Monte Marsicano. Oggi in forte espansione.
• Capriolo (Capreolus capreolus L.), 300-400 esemplari circa. Come il cervo anche il capriolo è stato reintrodotto. Dai circa 60 esemplari oggi la popolazione è notevolmente aumentata, tanto da essere la specie più facile da avvistare.
Sfuggevole l'incontro con il gatto selvatico, la martora, la faina, il tasso e la puzzola, specie diffuse su tutto il territorio nazionale. Incerta la presenza della Lontra, nelle acque chiare e non inquinate del Sangro all'affluenza dei torrenti pescosi che scendono dalle valli vicine (il corso normale del fiume dopo Pescasseroli presenta un pessimo stato di eutrofizzazione).
Molto più comuni sono la volpe, la lepre, la talpa, il riccio e la donnola; abbastanza frequenti il ghiro e lo scoiattolo meridionale. Anche qui i cinghiali sono un problema sentito, e non solo dalla popolazione per i danni alle colture, ma anche per il dissesto che apportano al manto erboso delle radure minacciando spesso le presenze floristiche rare.
Si segnalano 13 specie diverse di Chirotteri.
Tra gli uccelli (circa 230 specie diverse) si ricorda l'importante presenza del Picchio di Lilford nei boschi di Monte Tranquillo a Pescasseroli e sui Monti della Meta; si è ipotizzata la reintroduzione del Picchio nero. Segnalata la presenza senza nidificazione della Cicogna bianca, e avvistamenti rari di Gypaetus barbatus. I rapaci sono ancora ben diffusi come in tutto il territorio appenninico: il falco pellegrino, l'astore, la poiana, il gufo reale e l'allocco. Nei pressi dei corsi d'acqua incontaminati non poteva mancare il Merlo acquaiolo, oltre alle più comuni ballerine gialle.
L'aquila reale ha trovato nell'area protetta molti luoghi ideali per la nidificazione, e con le restanti aree protette confinanti, può sfruttare il Parco Nazionale d'Abruzzo come corridoio naturalistico per la riconquista delle zone prossime in cui si era estinta. Se ne contano oggi 3 coppie stabilmente nidificanti nel parco o nella Zona di Protezione Esterna.
Saltuaria la presenza del Grifone.
Tra i rettili ma solo sui luoghi più aspri ed in quota troviamo la rarissima Vipera dell'Orsini oltre la Vipera comune, abbastanza frequente il biacco, come l'orbettino e la Biscia dal collare (Natrix natrix subsp. lanzai).
La presenza di alcune valli ricche di acque sorgive, impaludamenti e torbiere ha favorito la conservazione di piccoli anfibi rari e schivi quali la salamandrina dagli occhiali, il tritone italiano e la salamandra pezzata.
Nei corsi d'acqua più freddi troviamo le specie di trota autoctone Salmo cettii e Salmo trutta lacustris. Introdotta nei bacini artificiali la trota iridea (Oncorhynchus mykiss).
Segnalata la presenza del gambero di fiume Austropotamobius pallipesitalicus e il gambero lacustre Gammarus lacustris.
Si contano fino a 2000 diversi coleotteri fra le circa 3800 specie diverse di insetti, molti di questi rari e localizzati, fra cui Parnassus apollo, Carabus cavernosus violatus e il Capricorno del Faggio (Rosalia alpina). Molto praticata l'apicoltura.
La sua posizione grossomodo centrale nella penisola italiana e i diversi ampliamenti effettuati nel corso degli anni in territori paesaggisticamente vari hanno fatto del parco un prezioso serbatoio di specie floristiche rare ed endemiche, luogo di protezione degli ambienti più tipici e meglio conservati di tutto l'Appennino.
Lo spettro biologico della flora del Parco Nazionale d'Abruzzo presenta notevoli affinità con gli studi analoghi risultanti dalle flore dei monti Simbruini, dei monti Alburni e dei monti Picentini.
Le flore di dette località sono molto simili per la presenza cospicua di emicriptofite e di terofite, contrariamente a quanto risulta dalle indagini attuate nell'Abruzzo interno, dove le prime risultano più consistenti per numero di specie, mentre si riducono notevolmente le seconde.
La vasta area occupata dal Parco Nazionale d'Abruzzo comprende ambienti naturali diversi, caratterizzati da una varietà di specie che oscilla da elementi mediterranei extrazonali a piante tipiche del piano alpino. Il gruppo di specie più consistente consiste nelle Eurasiatiche, con una rilevante compenetrazione di entità pontiche ed illiriche (esteuropee).
La lontananza del mare fa sì che le associazioni vegetali siano prevalentemente quelle tipiche dell'area continentale, seppur si ricordano nella Zona di Protezione Esterna leccete relitte sulle colline che si affacciano sull'antico lago Fucino, a Casali d'Aschi nel territorio di Gioia dei Marsi. Altri elementi mediterranei extrazonali lambiscono il territorio del parco per brevi tratti in Val di Comino e a Rocchetta a Volturno.
Dai 600 agli 800–1000 m s.l.m. il piano occupato dalle antiche colture, oggi riutilizzate a maggese o a pascolo, era quello del bosco di roverella, diffuso nei fondovalle del parco ricadente negli spartiacque del Giovenco e del Liri e nella pianura un tempo coltivata, a substrato argilloso, ricoperta oggi dall'invaso del Lago di Barrea.
I boschi di querce sono ancora abbondanti nel versante delle Mainarde con le interessanti cerrete attorno al bacino artificiale del lago di Cardito dove si segnala la presenza molto meridionale e rarissima per il Lazio di Lomelosia crenata (Cyr.) Greuter & Burdet subsp. crenata, rara in Abruzzo e Molise. Ornielli, aceri, meli selvatici e ciliegio abbondano nella zona di transizione col piano montano, fortemente degradata a causa dell'esposizione intensa al pascolo.
Le zone umide in cui la vegetazione è più abbondante e caratteristica sono le rive del fiume Sangro a valle di Pescasseroli.
Il corso d'acqua attraversa la piana di Opi dove la maggior parte delle piante spontanee sono relegate nelle golene a Salix appennina Skvortsov, Salix purpurea L. e Populus alba L. Più a valle dove il Sangro raccoglie le acque dello Scerto e del Rio Fondillo la vegetazione ha riconquistato antichi coltivi.
Le specie arbustive dominanti sono il Corylus avellana L. e la frequente, ma localizzata, Tilia platyphyllos Scop. Frequente nel substrato acido del sottobosco Dactylorhiza maculata fuchsii (Druce) Soò.
Le rive artificiali del lago di Barrea, soggette ai frequenti mutamenti del livello delle acque, non permettono una diversificazione floristica degna di nota.
Importanti i pantani delle sorgenti in quota, che ospitano la rara Dactylorhiza incarnata (L.) Soò e il trifoglio fibrino (Menyanthes trifoliata L.).
Dagli 800-1000 ai 1800 m s.l.m. L'area montana è nella maggior parte del territorio ormai completamente ricoperta da una densa superficie boschiva per lo più caratterizzata dal faggio, soggetta ad usi civici; le sole secolari faggete tra Pescasseroli e Villavallelonga scampano al periodico taglio del bosco e possono così ospitare una varietà vegetale ed animale altrimenti assente nel così detto bosco coetaneo.
Alle stesse altitudini però vi sono i boschi della Camosciara e di Cacciagrande in Val Fondillo, nei comuni di Villetta Barrea e Opi, la cui varietà floristica è la più importante e studiata del parco. Accanto ai faggi, aceri di monte, aceri di Lobelius, sorbi montani, e maggiociondoli, specie molto diffuse anche nel resto dell'area protetta, vive il più celebre endemismo della zona, il Pino nero di Villetta Barrea.
La stazione è un relitto dell'epoca glaciale; la specie è anche diffusa sporadicamente oggi attorno al Monte Greco, al Monte Godi e sulle Mainarde, a testimonianza delle antiche pinete oggi soppiantate dagli ampi pascoli e praterie.
Questo lembo di territorio è preziosissimo anche per altre presenze tipicamente alpine quali la Scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus L.) e la Corallorhyza trifida Cathel., nonché per le numerose specie delle rupi calcaree aride o stillicidiose come le carnivore Pinguicola e Drosera o l'endemica Aquilegia magellensis Huter, Porta & Rigo. Polygala chamaebuxus L. a San Biagio Saracinisco raggiunge il limite meridionale del suo areale italiano.
Poco diffusa la presenza di Taxus baccata L. che si concentra nelle zone più alte e selvagge della faggeta sui Monti della Meta e sui monti tra Pescasseroli e Villavallelonga. Altro importante relitto sono i popolamenti di Betula pendula Roth, presente in due sole stazioni in quota sui Monti della Meta.
Nel parco è stato studiato e scoperto il Giaggiolo marsicano (Iris marsica Ricci & Colasante), il più bello e vistoso endemismo dell'Appennino centrale.
Oltre i 1800 m s.l.m. Il piano alpino e subalpino è altrettanto interessante. Ospita il pino mugo, raro altrove nell'Italia centromeridionale. A causa dell'isolamento geografico numerose specie alpine relitte in Abruzzo si sono evolute in una serie di interessantissimi endemismi, altre sono ai limiti del loro areale intero o relativo (italiano).
• Androsace maxima L.: primulacea annuale tipica delle valli alpine orientali; nella penisola è segnalata solo nel Parco Nazionale d'Abruzzo e nel Parco regionale naturale del Sirente - Velino.
• Gentiana nivalis L.: piccola genziana a corolla blu, rara in tutto il territorio nazionale, nel Parco d'Abruzzo al limite meridionale del suo areale italiano.
• Campanula tanfanii Poldech: presente nella Zona di Protezione Esterna, relitto glaciale diversificato a seguito dell'isolamento geografico post-glaciale, diffuso dal Furlo al parco d'Abruzzo, è la specie più prossima dell'endemita alpino Campanula carnica Schiede ex M. & K.
• Campanula appennina Poldech: altro endemismo peninsulare al limite meridionale del suo areale.
• Viola hymettia Boiss & Heldr. e Viola eugeniae Parl. La prima al limite settentrionale del suo areale italiano, è una forma della più frequente Viola arvensis Murray. La seconda è frequentissima nell'Appennino centrale dove sostituisce l'analoga Viola calcarata L., specie alpina geneticamente vicina.
• Festuca bosniaca Kumm. & Sendtn. Anfiadriatica sui pendii sassosi della riserva, al limite settentrionale del suo areale italiano. Poco appariscente, è importante perché associata alla distribuzione di Pinus leucodermis Antoine, oggi relitto nella sola Calabria.
• Leontopodium alpinum Cass subsp. nivale (Ten.) Tutin e Aster alpinus L. Vistosi elementi floristici delle alte quote, raggiungono nel parco la punta meridionale del loro areale italiano.
• Nigritella rubra widderi (Teppner & Klein) H.Baumann & R.Lorenz è un'altra delle orchidee selvatiche localizzata ed endemica dell'Appennino centrale, segnalata nel piano cacuminale del comune di Opi.[45]
Molto rari e per lo più frutto di rimboschimenti sono i boschi nel versante peligno del parco, quello ricadente nel comune di Scanno in cui dall'area abitata alle cime montuose continua ininterrottamente la superficie destinata al pascolo e all'allevamento del bestiame.
Nonostante le condizioni ambientali sfavorevoli, anche questa zona conserva preziose nicchie di biodiversità: è in queste valli infatti che troviamo l'unica stazione del parco di Paeonia officinalis L. e un'ampia concentrazione di piante aromatiche ed officinali: Hyssopus officinalis L., Gentiana lutea L., Tanacetum parthenium L., Chenopodium bonus-henricus L.
Le popolazioni dell'Alto Sangro hanno da sempre dovuto adattare i loro usi ad un paesaggio ostico: isolamento e secoli di carenza di infrastrutture e vie di comunicazione.
Alcuni villaggi del parco sperimentarono la prima vera e propria forma di urbanizzazione solo a seguito del Terremoto di Avezzano; considerati i danni subiti dai nuclei urbani storici, furono ricostruite abitazioni provvisorie su cui poi si svilupparono gli edifici moderni e i servizi.
Prima del 1915 l'economia strettamente pastorale della zona aveva modellato non solo le montagne e il paesaggio rurale, ma anche l'assetto e le forme dei centri urbani: essi non si sviluppavano attorno ai castelli medievali, su speroni rocciosi difensivi o su ruderi romani come nei circondari vicini; la marginalità del posto teneva lontano invasori e conquistatori.
Così i villaggi crebbero senza forma; si sviluppano attorno ai palazzi signorili rococò dei grandi proprietari terrieri e di bestiame, vertici politico-economici delle locali comunità pastorali, sorte sul modello economico della «masseria montana», un ordinamento sociale che succedette il sistema dei muncipia e dei santuari etnici romano, legato alla pastorizia transumante.
Il «massaro» presto riuscì a diventare il principale proprietario degli armenti curati, fino a diventare il solo detentore del capitale sufficiente per poter continuare l'allevamento e il commercio del bestiame, con modalità e in circostanze che ricordano lo sviluppo del capitalismo moderno nell'Europa settentrionale.
Indagini archeologiche hanno portato alla luce le prime tracce di insediamenti stabili umani risalenti all'età del Ferro (X - VII secolo a.C.) testimoniati dai resti di rudimentali fortificazioni in opera poligonale, sotto l'attuale centro storico di Opi e attorno al Lago di Barrea (Valle Japagana).
Si cominciava a praticare stabilmente la pastorizia e la società si organizzava in gruppi parentali (clan): le diverse necropoli della Val Fondillo, di Barrea e Alfedena testimoniano infatti le prime tracce di organizzazione sociale del territorio.
Con la diversificazione delle varie tribù safine, nel V secolo a.C., che si stanziarono nell'Italia centrale, le montagne del Parco si trovarono a determinare il limite tra i territori dei Marsi, Volsci e dei Sanniti.
I confini sembrano essere approssimativamente quelli stabiliti dall'amministrazione romana, che spartì il territorio tra i municipi di:
• Aufidena (l'attuale Castel di Sangro), che amministrava l'Alto Sangro fino a Opi.
• Atina, da cui dipendeva l'attuale territorio di Pescasseroli e Opi, già possedimento di Cominium.
• Angizia, forse presso Gioja Vecchio, frazione Gioia dei Marsi.
• e il pagus Bletifulus, nei pressi dell'odierna Scanno, già nel municipio di Corfinium, in territorio peligno.
Resti della presenza Italica e romana sono sparsi lungo la valle del Sangro; santuari, ville, lapidi.
Con la caduta dell'impero romano e l'inizio del medioevo andarono perdute le poche strutture sociali e amministrative presenti in Alto Sangro.
L'arrivo dei Longobardi segnò il primo passo verso la ricostruzione politica che seguì la fine dei municipia romani e il territorio del Parco Nazionale d'Abruzzo venne a trovarsi al confine del Ducato di Spoleto e del Ducato di Benevento.
Per ritrovare però un'organizzazione territoriale ben strutturata si dovette aspettare la nascita delle grandi abbazie di Montecassino e San Vincenzo al Volturno, che per secoli si contesero le proprietà su eremi, chiese e pascoli nell'Appennino tra Balsorano, le Mainarde e la Valcomino, a cavallo del confini longobardi. Anche l'abbazia di Farfa per breve tempo ebbe un feudo in Pescasseroli, attorno all'XI secolo.
I volturnensi incrementarono un primitivo incastellamento (Pescasseroli, Rocca Intramonti, Barrea), mentre la Valcomino fu munita di importanti strutture militari (Alvito, Vicalvi, Picinisco) a difesa della Terra di San Benedetto.
Dal 1017 anche la Vallis Regia (Barrea) e il monastero di Sant'Angelo in Barreggio (Villetta Barrea) appartennero a Montecassino.
Nel XII secolo i Borrello, cui seguirono i D'Aquino d'Alvito e i D'Avalos, divennero signori di Pescasseroli, e con il decadimento del monastero volturnense, nel 1349, a causa di un sisma, i signori laici acquisirono sempre maggiore prestigio.
Nel 1273 il territorio del parco cadeva interamente nel Regno di Napoli, diviso nelle province d'Abruzzo Citra, Terra di Lavoro (Valcomino), Contado di Molise (Barrea, Pizzone).
Nel 1669 Montecassino acquisì definitivamente tutti gli ultimi possedimenti volturnensi.
Il sistema feudale che caratterizzò le aree più interne dell'Abruzzo non ebbe grande autorità e i cardini politici ed economici dell'Alto Sangro divennero presto, già dal XV secolo, i «massari» e proprietari di bestiame, una sorta di imprenditori pre-moderni.
Il consolidamento amministrativo ed economico della pratica della transumanza, attestato in tutta Italia già dal primo medioevo, fu favorito in Abruzzo dall'unità politica del Regno di Napoli: gli Aragonesi contrastarono ampiamente i privilegi feudali che impedivano la migrazione degli armenti su larga scala, dall'Alto Sangro alla Puglia, il banditismo, e realizzarono un vasto sistema di tratturi.
Una lenta modernizzazione passò poi attraverso lo sviluppo dell'industria della lana nel circondario di Sora, e quindi, dopo l'Unità d'Italia, si consolidò con la realizzazione delle cartiere lungo il Melfa a Picinisco e lungo il Volturno a Pizzone.
Fu tentata anche l'attività estrattiva della bauxite ma con scarsi risultati.
Per la lontananza dalle principali direttrici del commercio e l'indisponibilità di olii vegetali e vite (zona a clima montano), i prodotti tradizionali sono quelli tipici dell'Appennino centrosettentrionale.
Salumi e insaccati, primi piatti poveri a base di legumi e paste molli (da ortaggi coltivabili anche in quota come il fagiolo di Scanno o la cicerchia).
Nella Valcomino sono tutelati alcuni prodotti mediante l'istituzione di presidi slow food e con il sostegno di appositi decreti ministeriali: il formaggio pecorino di Picinisco, il tartufo di Campoli Appennino e, come in altri comuni del parco, il miele biologico.
Dolciumi e prodotti di liquoreria sono rivalutati e promossi da piccole aziende locali specialmente ad Alvito (torroni di pasta reale), Scanno (mostaccioli, «pan dell'orso») e Pescasseroli (liquore «fragolino»).
Produzione di merletti al tombolo e tradizione orafa presso Scanno. Lavorazione manuale della pietra e del legno sporadicamente in tutto il territorio.
A Scapoli si producono ancora zampogne artigianali.
Per una migliore amministrazione il territorio del parco è stato suddiviso nella sua gestione nel 1987 in quattro differenti settori di protezione.
• ZONA A - Riserva integrale: ricadono in questo provvedimento protezionistico le cime più impervie popolate dai Camosci, il fondovalle dello Scerto e del torrente Fondillo, ma anche porzioni di faggete nei comuni di Villetta Barrea e Pescasseroli. L'accesso è interdetto o severamente regolamentato.
• ZONA B - Riserva generale: i territori in cui la presenza umana è sempre stata storicamente costante sono allo stesso modo protetti dai vincoli della riserva generale, che regolamentano l'accesso motorizzato, il prelievo di legname e di prodotti del sottobosco. L'escursionismo è libero.
• ZONA C - Protezione: l'area, prevalentemente estesa nel fondovalle del Sangro, è quel territorio intorno ai centri abitati tradizionalmente dedicato alle attività agricole e all'uso privato delle risorse naturali.
• ZONA D - Sviluppo: i centri urbani inglobati nel perimetro del parco dopo i vari ampliamenti gestiscono in quest'area i piani regolatori dello sviluppo edilizio in collaborazione con il Parco che qui promuove le attività ricettive e di orientamento del flusso turistico.
La più comoda località d'accesso è il paese di Pescasseroli (AQ), insieme ai centri minori dell'Alto Sangro, cuore dell'area protetta.
Il parco divide il suo territorio in diversi settori turistici per le relazioni con i visitatori e le promozioni editoriali: il settore Val Comino in provincia di Frosinone, il settore Mainarde in provincia di Isernia e il settore Marsica Fucense che comprende i comuni del parco ricadenti nello spartiacque dell'alveo del Fucino.
Nella maggior parte dei comuni sono allestiti centri di visita tematici o uffici di zona in cui è possibile disporre di materiale divulgativo sul Parco e organizzare i percorsi turistici ed escursionistici:
• Centro Parco, Orto Botanico e Parco Faunistico a Pescasseroli.
• Museo e Area Faunistica del Lupo Appenninico, Area Faunistica della Lince a Civitella Alfedena.
• Museo e Area Faunistica del Camoscio d'Abruzzo a Opi
• Centro Parchi Internazionale e Museo dell'acqua a Villetta Barrea
• Settore Marsica Fucense: Museo dell'Insetto a Bisegna, Museo e Area Faunistica del Cervo a Villavallelonga
• Settore Val Comino: Ufficio di Zona ad Alvito e Vallerotonda, Museo degli animali notturni a Picinisco.
• Settore Mainarde: Ufficio di Zona a Pizzone, Museo della Zampogna a Scapoli.