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Braccio da MontoneBraccio da Montone, Andrea Fortebraccio, noto come Braccio da Montone, condottiero, politico, nasce il 1º luglio 1368 a Perugia, e muore all’Aquila il 5 giugno 1424.

Fu governatore di Bologna, rettore di Roma, signore di Perugia, principe di Capua, conte di Montone, conte di Foggia, gran connestabile del regno di Napoli.

Con le sue imprese fu quasi pronto per costituire uno Stato dell'Italia centrale nel XV secolo.

« ... Braccio / ... che per tutto ancora / Con maraviglia e con terror si noma »

(Alessandro Manzoni, Il Conte di Carmagnola, 1816)

Braccio nacque a Perugia dai nobili Oddo Fortebracci, conte di Montone, e Giacoma Montemelini.

Sin da giovane si dedicò alla carriera militare, iniziando come paggio nella compagnia di Guido d'Asciano.

La sconfitta dei nobili di fazione popolare a Perugia - i cosiddetti beccherini - comportò l'esilio dalla città per la famiglia dei Fortebracci e la perdita della proprietà di un castello a Montone, nell'alta valle del Tevere.

Braccio si diede quindi alla ventura, entrando nella compagnia di San Giorgio, della quale faceva parte pure il futuro rivale Muzio Attendolo Sforza, alla scuola di Alberico da Barbiano, conte di Cunio.

Nel 1390 tornò a Montone, e qui, aiutato da due fratelli, uccise tre membri della fazione avversaria dei Raspanti: per questa azione risoluta si guadagnò una taglia sulla testa, da parte del governo di Città di Castello, per l'omicidio di un abitante del tifernate che si trovò lì di passaggio, e l'appellativo di Braccio al posto del nome Andrea.

Fortebraccio decise quindi di abbandonare nuovamente i luoghi d'origine per formare una compagnia di quindici cavalieri e per mettersi al soldo dei Montefeltro contro i Malatesta.

Nel 1391 rimase ferito durante l'assalto alla rocca di Fossombrone, e da quella battaglia gli rimase un passo leggermente claudicante.

Sconfitto presso Fratta Todina, rifiutò di entrare al servizio di Biordo Michelotti.

Nell'aprile del 1395 tornò a combattere per Alberico da Barbiano, nel regno di Napoli, qui incontrò nuovamente Sforza.

Nel1397 passò al soldo di Firenze, al suo comando erano trenta uomini d'arme.

Nel 1398 affiancò la Chiesa nella guerra contro Perugia, assediando prima Montone e poi, alla morte di Michelotti, signore di Perugia, attaccando la città che l'aveva esiliato.

Finì per devastare il territorio assisiate nell'inutile tentativo di penetrare nell'attuale capoluogo umbro. Nel 1400 Perugia si diede Visconti e Braccio tornò a alle sue battaglie in lungo ed in largo per la penisola.

Nel 1402, alla morte di Gian Galeazzo Visconti, agli ordini di Mostarda da Forlì, combatté per i pontifici contro i viscontei.

Nel 1403 Papa Bonifacio IX si accordò con il nuovo ducato di Milano e caddero sotto il controllo dello Stato della Chiesa Bologna, Perugia e Assisi: la fazione dei nobili perugini dei Raspanti ottenne però che i fuoriusciti non potessero avvicinarsi a meno di venti miglia dalla città.

Nel 1404 Braccio tornò così al servizio di Alberico da Barbiano, conte di Cunio, combattendo di nuovo a fianco di Lorenzo Attendolo, contro Faenza e lo Stato Pontificio: questa seconda battaglia rimarrà ricordata come uno degli esempi della perizia nell'arte della guerra di Braccio.

Nei pressi del fiume Reno, nella pianura padana, le truppe del conte di Cunio rimasero in minoranza di fronte al nemico, e Montone, che componeva la retroguardia, fece costruire tre ponti ad uso militare, per attraversare il fiume e trincerarsi oltre le sponde, riuscendo così a resistere agli assalti delle truppe papali.

Per questa impresa Braccio si poté fregiare del titolo di cavaliere e del diritto di inserire nel suo stemma le insegne del conte di Cunio.

I primi successi del giovane condottiero finirono per attirare le invidie della compagnia: qualcuno lo calunniò avvertendo Alberico che Braccio voleva ucciderlo per prenderne il posto, e così Montone, avvertito dalla moglie del conte di Cunio, dovette fuggire dall'accampamento per non essere a sua volta assassinato.

Più tardi Alberico si pentì di questo suo proposito e chiese a Braccio, vanamente, di tornare nella sua compagnia.

Nel 1406 combatté con i fuoriusciti contro Perugia, e nel 1407 formò una compagnia di ventura composta principalmente da esuli perugini, danneggiando e ricattando vari piccoli comuni del contado romagnolo e dell'alta valle del Tevere per finanziarsi con queste scorrerie, ponendo la sua base presso Sansepolcro.

In maggio gli abitanti di Arcevia gli offrirono la signoria della città, in cambio del suo aiuto contro il marchese di Fermo Ludovico Migliorati, che stava assediando la città.

Il Montone accettò, occupò il monte Conero e devastò il territorio di Fano, dove si impadronì di alcuni castelli.

In seguito Braccio si rappacificò con il Migliorati e passò al servizio di Ladislao d'Angiò re di Napoli proprio presso Fermo.

Ai suoi ordini erano ormai più di 1.200 cavalieri e 1000 fanti, cui dispensò complessivamente una paga di 14.000 fiorini. Devastò le terre dei Trinci di Foligno perché si erano rifiutati di vettovagliare le sue truppe.

Nel 1408 Perugia si arrese al sovrano di Napoli Ladislao, ma ottenne da questi una dichiarazione di belligeranza verso tutti i fuoriusciti dalla città.

Braccio ripiegò nelle Marche, ad Ancona, dichiarandosi a sua volta nemico di Ladislao, e s'impossessò di Jesi.

Nel 1409 combatté dapprima a Città di Castello, quindi ad Arezzo a fianco dei fiorentini e poi si diresse alla volta di Roma, assediando Castel Sant'Angelo, salvo ripiegare nelle Marche per l'arrivo dell'inverno.

Nel 1410 Roma subì attacchi da parte di Luca e Ladislao d'Angiò e diverse compagnie di ventura; tra queste pure quella di Fortebraccio, che, una volta viste in ritirata le truppe napoletane, le inseguì e le sconfisse presso Sora, poi saccheggiata.

In agosto i fiorentini gli consegnarono 14.000 fiorini nel perugino, in settembre Spoleto gli commissionò scorrerie punitive nel territorio di Terni, in novembre attaccò nuovamente Perugia assediandola da porta San Pietro, senza riuscire nell'intento.

In questi anni di guerre, concentrate per lo più nell'attuale regione Umbria, Braccio ebbe modo di perfezionare la sua tecnica militare, impostata sulla rapidità della manovra e sulla velocità dei movimenti, e questa fu la caratteristica di una nuova scuola d'arme, che fu definita braccesca.

Nel 1413 l'antipapa Giovanni XXIII lo nominò feudatario di Montone, inoltre lo chiamò a governare Bologna. Braccio sfruttò la situazione per accumulare molto denaro, taglieggiando le città di Ravenna, Forlì, Rimini, Cesena e Castel San Pietro.

Nel 1414 combatté a Todi contro lo Sforza (passato al soldo di Napoli); in giugno, al termine della battaglia, venne accolto con tutti gli onori a Firenze, con cui siglò un'alleanza di dieci anni.

In agosto Ladislao d'Angiò morì, Braccio lasciò Bologna in libertà, per la cifra di 180.000 ducati d'oro, e raggiunse l'Umbria, occupando città e castelli durante la sua discesa; Perugia, temendo il suo arrivo, si affidò a Carlo Malatesta, nominato «Difenditore dei Perugini per la Santa Chiesa»; lo scontro, molto duro, avvenne a Sant'Egidio il 12 luglio 1416, con la vittoria dei bracceschi.

Nella battaglia si distinsero il giovanissimo figlio di Braccio, Oddo, e l'allievo Niccolò Piccinino; gli episodi che la contraddistinsero vennero immortalati in una tela di Paolo Uccello.

La città di Perugia non poté allora far altro che aprirgli le porte, e nominarlo signore, ed in seguito alla conquista anche le città di Todi, Narni, Terni e Orvieto lo vollero come loro reggitore, a suggellare il dominio di Braccio nel territorio dell'odierna Umbria.

Braccio chiese quindi al neoeletto Papa Martino V di concedergli il vicariato sull'Umbria, ma questi glielo negò e gli mandò contro Guido da Montefeltro, suo parente, e lo Sforza suo alleato, che il Montone sconfisse puntualmente in una memorabile battaglia presso Spoleto.

Sfruttando la vittoria, Braccio mosse contro i territori del Montefeltro. Dopo aver sottomesso Gubbio, in alta Umbria il suo obiettivo divenne Urbino: conquistandola, Braccio avrebbe potuto governare sino al mare Adriatico.

Ma nel 1417, appena valicato lo spartiacque appenninico, la sua avanzata verso Urbino si bloccò presso il castello di Cantiano che, sbarrando in maniera inespugnabile la via Flaminia, divenne per anni il quartier generale dell'esercito di Guidantonio da Montefeltro contro quello del Montone.

Dopo un estenuante ed inutile assedio, Braccio abbandonò il progetto e vide così infrante le mire espansionistiche verso la Marca e l'Adriatico.

È ricordata a tal proposito la frase dell'illustre capitano di ventura nei confronti del castello di Cantiano: "maledicto arnese de guerra".

Il 14 marzo 1419 incontrò allora il Papa a Firenze, e trovò un accordo, che consisteva nella riconquista di Bologna.

Braccio la occupò e poi si ritirò a Perugia, lasciando intatti tutti i territori dei Montefeltro.

Braccio da Montone andò allora in aiuto della regina di Napoli Giovanna II, scomunicata dal Papa, venendo però esso stesso interdetto dai sacramenti.

Controllando in poco tempo, grazie alla sua abilità militare, tutti i territori dell'Abruzzo e parteggiando per Alfonso V d'Aragona contro gli angioini, conseguentemente ai suoi successi, nel febbraio 1424 fu nominato gran connestabile del regno di Napoli, e feudatario di Capua e Foggia.

In marcia per lo scontro finale, presso Pescara morì lo Sforza, sempre al soldo degli angioini; invece durante la battaglia finale, il 2 giugno 1424, all'Aquila, Montone rimase gravemente ferito.

Non volle ricevere cure e pochi giorni dopo morì.

Essendo scomunicato, il Papa lo fece seppellire in terra sconsacrata, dove rimase fino al 1432 quando, per iniziativa del nipote Niccolò della Stella Fortebraccio, i suoi resti furono tumulati nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia (l'artistico sarcofago si può vedere nella sagrestia).

tutti pazzi per la Civita

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