Ponzio Pilato, politico romano, nasce in Abruzzo, ...e muore nel I secolo
Pilato è ricordato come martire dalla Chiesa copta e come santo dalla Chiesa etiope.
I dettagli biografici di Pilato prima e dopo la sua nomina in Giudea non sono certi.
Sarebbe nato nel 16 a.C. in Abruzzo, nella zona aquilana o del Vomano, sarebbe dunque di origine sannita.
Circa la morte esistono diverse ipotesi: giustiziato dall'Imperatore Caligola; suicida in Gallia dopo esservi stato esiliato; penitente e convertito al Cristianesimo per influenza della moglie Claudia Procula (canonizzata dalla Chiesa greco-ortodossa); morto a Vienne o a Latina.
La tradizione cristiana ha generato leggende in competizione tra loro sul suo luogo di nascita.
Oltre che dai vangeli, le vicende di Ponzio Pilato ci sono note anche dai resoconti di due autori ebrei del tempo: Flavio Giuseppe e Filone di Alessandria.
Un breve accenno è inoltre presente in Tacito.
Fu il quinto prefetto della prefettura della Giudea, in carica tra gli anni 26 e 36; è famoso per il ruolo che svolse nella passione di Gesù, secondo quanto testimoniano i vangeli, in quanto fu giudice del processo di Gesù e ne ordinò la flagellazione.
Pilato compare in tutti e quattro i vangeli canonici.
Il Vangelo secondo Marco mostra Gesù innocente dell'accusa di aver complottato contro l'Impero romano e raffigura Pilato come estremamente riluttante a giustiziarlo, dando la colpa alle gerarchie giudaiche per la condanna, anche se Pilato era l'unica autorità in grado di decidere una condanna a morte.
Nel Vangelo secondo Matteo, Pilato si lava le mani del caso e, riluttante, manda Gesù a morte. Nel Vangelo secondo Luca, Pilato riconosce che Gesù non aveva minacciato l'Impero.
Nel Vangelo secondo Giovanni, Pilato interroga Gesù, il quale non afferma di essere né il Figlio dell'Uomo né il Messia, ma gli dà conferma rispondendo "tu lo dici: io sono re".
Secondo quanto riportato da Flavio Giuseppe, Pilato provò senza successo a romanizzare la provincia romana della Giudea, introducendo immagini dell'imperatore a Gerusalemme (cosa che suscitò una forte protesta perché la legge ebraica non lo consentiva) e provando a costruire un acquedotto con i fondi che si raccoglievano nel Tempio.
I contrasti con la popolazione locale lo portarono a trasferire la capitale della regione da Cesarea a Gerusalemme, per poter meglio controllare le continue ribellioni.
Il governatore della Siria, Lucio Vitellio, lo destituì nell'anno 36 o 37 a causa della durezza con la quale aveva represso i Samaritani che avevano messo in atto la rivolta del monte Garizim e l'imperatore Caligola lo mandò in Gallia (37–41).
Al suo ruolo di prefetto della Giudea subentrò Marcello.
Filone di Alessandria racconta che era corrotto, licenzioso e crudele, che rubava e che condannava senza processo.
Eusebio di Cesarea, citando degli scritti apocrifi, afferma che Pilato non ebbe fortuna sotto il regno di Caligola e si suicidò nella città gallica di Vienne.
Secondo Agapio di Ierapoli, Pilato si suicidò durante il primo anno del regno di Caligola.
Secondo il Nuovo Testamento, Gesù fu portato al cospetto di Pilato dalle autorità ebraiche di Gerusalemme, le quali dopo averlo arrestato, lo interrogarono e ricevettero delle risposte che lo fecero considerare blasfemo.
La domanda più importante che Pilato fece a Gesù fu se lui considerasse se stesso come re dei Giudei.
Nella prosecuzione dell'interrogatorio, secondo il Vangelo secondo Giovanni, Gesù affermò di essere venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità e proseguì dicendo: Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.
Al che Pilato chiese: Che cos'è la verità?
Pilato tentò di non condannare Gesù e, visto che in occasione della Pasqua era usanza che fosse liberato un prigioniero, Pilato lasciò al popolo la scelta tra Gesù e un assassino di nome Barabba.
Nel Vangelo secondo Matteo ci sono altri due elementi, un intervento della moglie di Pilato, Claudia Procula, la quale gli consiglia di rilasciare Gesù, e l'episodio di Pilato che si lava le mani davanti alla folla dicendo: Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!
Da questo gesto nasce il detto: lavarsi le mani per indicare il gesto di una persona che non prende posizione e lascia che altri prendano una decisione.
Pilato è anche presente negli Atti di Pilato, un apocrifo del II/III secolo.
Altri testi che ci parlano di lui in relazione a Gesù sono un brano dello storico giudeo Flavio Giuseppe risalente all'anno 93 o 94:
«Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo.
E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato.
Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani»
Questo passaggio, noto come Testimonium Flavianum, è da tempo oggetto di discussione a causa del suo tono celebrativo: la maggioranza degli studiosi lo ritiene autentico nella sostanza ma oggetto di interpolazioni da parte di copisti medievali.
In un manoscritto arabo del X secolo ne è ad esempio documentata una versione con le stesse informazioni ma in una versione più scarna e priva degli elementi celebrativi.
Un riferimento a Pilato è inoltre presente nel brano dello storico romano Tacito risalente all'anno 116 o 117:
«Cristo era stato ucciso sotto l'imperatore Tiberio dal procuratore Pilato; questa esecrabile superstizione, momentaneamente repressa, è iniziata di nuovo, non solo in Giudea, origine del male, ma anche nell'Urbe (Roma), luogo nel quale confluiscono e dove si celebrano ogni tipo di atrocità e vergogne».
Secondo alcuni in questo passo di Tacito ci sarebbe un errore: a Pilato infatti viene assegnato il ruolo di procuratore e non quello di prefetto, mentre tale titolo, a parere di alcuni studiosi, entrò in uso solo dal 44.
Altri fanno però notare come il termine "procuratore" venga però attribuito da Flavio Giuseppe anche a Coponio, il primo prefectus cum iure gladii della Giudea appena diventata provincia romana.
Questo dimostrerebbe una certa confusione nell'uso dei termini da parte degli storici antichi: prefetto indicava un ruolo militare, procuratore un ruolo legato alle finanze.
Nel 1961 presso l'anfiteatro romano di Cesarea è stata infine rinvenuta casualmente una lapide risalente al periodo tiberiano sulla quale Pilato veniva menzionato nell'incisione incompleta che recita: "[Caesarensibu]s Tiberiéum/[Pon]tius Pilatus/[Praef]ectus Iuda[ea]e". traducibile forse come "presso i Cesarensi, Ponzio Pilato, Prefetto di Giudea, [dedicato a] Tiberio".
Altre interpretazioni riferiscono di una possibile attestazione di lavori effettuati da Pilato presso l'anfiteatro della città, forse colpita da un terremoto o della presenza sul luogo del ritrovamento di un tempio realizzato in onore dell'imperatore da Pilato.
La Chiesa ortodossa etiope segue una tradizione secondo cui, dopo il processo a Gesù, Pilato si convertì e lo venera come santo, celebrandone la ricorrenza il 25 giugno. Secondo altre tradizioni si suicidò.
Antoine de La Sale, scrittore e viaggiatore francese del XV secolo, riporta una leggenda raccolta durante un viaggio nell'Italia Centrale secondo cui Ponzio Pilato, riportato a Roma da Vespasiano fu fatto uccidere e il suo cadavere, su di un carro trainato da buoi, trasportato verso le pendici del Monte Vettore nel massiccio dei Sibillini, e gettato in un lago, che oggi porta il suo nome.
Numerose località si contendono l'onore di avergli dato i natali o di averlo ospitato al suo rientro in Italia dopo i fatti evangelici.
Ad esempio, a San Pio di Fontecchio vi è un monte detto Montagna di Pilato dove la tradizione locale colloca la villa in cui Pilato si ritirò prima di morire.
Il ritrovamento in tempi recenti di resti di edifici romani ha stimolato ulteriormente questa leggenda.
Un'altra leggenda narra che la villa di Pilato fosse localizzata a Tussio, nelle vicinanze dell'antica Peltuinum.
Ad avvalorare la tesi è sopravvenuto il ritrovamento di due leoni in pietra risalenti al I secolo, che porterebbero invece ad indicarne la tomba.
Sempre a Pilato viene accreditata l'introduzione nella piana di Navelli dello zafferano.
Secondo un'altra leggenda Pilato fu esiliato dall'imperatore Caligola a Vienne in Francia e vi è morto suicida.
Sulla via per Vienne avrebbe soggiornato prima a Torino, nella Porta Palatina, poi a Nus in Valle d'Aosta, dove il castello è noto col nome di "Castello di Pilato", nonostante la costruzione attuale risalga al medioevo.
Altra leggenda vuole i suoi natali ad Atina (FR).
La leggenda che vuole Bisenti quale patria di Ponzio Pilato, a differenza delle altre leggende riferite ad altri luoghi, è molto articolata.
Non si limita ad affermare che il prefetto sia nato a Bisenti ma spiega i dettagli dell'origine bisentina del preside romano.
Secondo questa tradizione, tramandata di generazione in generazione, un avo del celebre funzionario romano, Ponzio Aquila, partecipò alla congiura delle idi di Marzo contro Giulio Cesare; con il ristabilirsi dell'ordine pubblico, le famiglie dei cesaricidi furono confinate presso le colonie romane e tra queste i Ponzi furono esiliati in quel di Berethra (antico nome di Bisenti dal greco BARATRON “valle stretta e profonda").
Nato e cresciuto in questa località, il giovane e futuro prefetto ebbe dunque la possibilità di conoscere le tradizioni ebraiche ed apprendere una la lingua “straniera”, l'aramaico.
L'allora Berethra, infatti, era è ubicata nel cuore di un territorio, dell'area centro-adriatica, conosciuto in antichità con la denominazione di "palestina piceni" in quanto colonizzato nel 600 a.C. circa da popolazioni mediorientali provenienti dalla terra di Canaan.
Proprio la conoscenza del linguaggio e delle abitudini simil-giudaiche, apprese vivendo nella “Palestina Piceni”, avvantaggiarono il giovane militare Ponzio Pilato nella nomina di V prefetto della Giudea.
A Bisenti è visitabile il luogo che la tradizione indica come casa natale di Ponzio Pilato. L'edificio, anche se modificato e ristrutturato nel corso dei secoli, conserva ancora, nel suo impianto, le caratteristiche di una tipica domus romana: un lato dello stabile presenta un porticato con un cortiletto o “vestibolo”, sul lastrico di tale corte si notano dei resti di una antica pavimentazione realizzata con ciottoli che formano delle particolari geometrie molto simili alle figurazioni dei mosaici che impreziosivano le ville romane.
A ridosso di tale cortiletto si trova un locale, l'“atrium” della “casa di Ponzio Pilato”. Al di sotto di tale area dell'edificio, sono presenti due enormi cisterne che, per le caratteristiche tecniche costruttive delle murature in “opus caementicium” e per la presenza di alcune tracce di intonaco impermeabile di tipo “opus signinum”, possono essere fatte risalire all' epoca romana.
Sotto l‘”impluvium”, è ancora perfettamente conservato un qanat, un sistema di distribuzione idrico molto diffuso nei territori mediorientali.
Non si può dunque escludere che il qanat di Bisenti sia stato realizzato proprio da Ponzio Pilato che, avendone appreso la tecnologia costruttiva in Giudea, una volta tornato in patria pensò bene di costruire un sistema idrico del genere per captare le acque da una falda, incanalarle mediante una galleria sotterranea per alcuni chilometri e prelevarla, per le proprie esigenze personali, da un pozzo situato all'interno della sua casa e, per le necessità degli altri concittadini Berethriani, in una fonte di erogazione pubblica, oggi denominata "fonte vecchia", della quale si possono ancora ammirare, integralmente preservate, i cunicoli di adduzione e le vasche di decantazione.
Comunque, ad avvalorare la leggenda che Pilato fosse di origine abruzzese, vi è l'ipotesi che lo fa discendere dalla famiglia Vestina dei Ponzi, da cui sarebbero usciti, al tempo della guerra sociale, gli avi di Ponzio Pilato quali condottieri dell'esercito sannita.
Questa vecchia tradizione popolare è anche presente in un'opera minore di Ennio Flaiano.
È anche riportata da Angelo Paratico in "gli assassini del Karma" e da Giacomo Acerbo in "fra due plotoni di esecuzione".
La figura di Ponzio Pilato è legata a diverse tradizioni anche in provincia di Latina: l'isola di Ponza lega il suo nome ad una leggenda che lo vuole esiliato qui, mentre i suoi natali sono rivendicati anche dalle antiche città di Cori e Cisterna di Latina.
Notevole è anche la tradizione attestata ad Ameria oggi Amelia dove oltre ad essersi tramandata la "leggenda" del Palazzo di Pilato ed essere attestata la presenza di una villa romana in località monte Pelato (ma forse più correttamente Pilato) nel XVI secolo un'iscrizione ritrovata nei pressi della chiesa Abbazia di San Secondo desta sicuramente una certa curiosità.
Si parla infatti di un certo Pilatus
Tale iscrizione avvalorerebbe quanto riportato nel Vangelo Apocrifo cd Atti di Pilato dove più volte viene citata la Città di Ameria quale luogo di esilio e morte del governatore.
Pilato è stato a volte identificato nella Divina Commedia di Dante Alighieri come "Colui/Che fece per viltade il gran rifiuto" al posto di Celestino V.
Nel racconto Il procuratore della Giudea (1902) dello scrittore francese Anatole France, un Ponzio Pilato vecchio e amareggiato rievoca con un commilitone i vecchi tempi del servizio in Palestina, la litigiosità e la ingovernabilità degli Ebrei, le azioni intraprese e le critiche ricevute, i riconoscimenti e le sanzioni ad opera della burocrazia imperiale. Dell'episodio della condanna di un eversore a nome Gesù il Nazareno, pretesa e ottenuta dai maggiorenti locali, nessun ricordo.
Il romanzo Il Maestro e Margherita (1966-'67) dello scrittore russo Michail Afanas'evič Bulgakov contiene un romanzo nel romanzo incentrato sull'incontro tra Pilato e Yeshua (il nome ebraico di Gesù).
Nel romanzo di Bulgakov è infatti presente una riscrittura del processo a Gesù dei Vangeli. Nel finale (nel capitolo Il perdono e il rifugio eterno), Pilato guarda con occhi ciechi il disco della luna, condannato insieme al suo unico amico fedele guardiano, un cane scuro (... chi ama deve condividere la sorte dell'oggetto del suo amore), a dormire da duemila anni in un luogo deserto, ma colpito dall'insonnia quando c'è la luna piena.