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Lina MerlinLina Merlin, all'anagrafe Angelina Merlin, è stata una politica e partigiana membro dell'Assemblea Costituente e prima donna a essere eletta al Senato, nasce il 15 ottobre 1887 a Pozzonovo, in provincia di Padova, e muore a Padova, il 16 agosto 1979.

Il suo nome è legato alla legge 20 febbraio 1958, n. 75 - conosciuta come Legge Merlin - con cui venne abolita la prostituzione legalizzata in Italia.

Originaria di Chioggia, era figlia di Giustina Poli, insegnante, e Fruttuoso Merlin, segretario comunale a Pozzonovo.

Visse a Chioggia per tutta l'infanzia e la giovinezza.

Conseguita la maturità magistrale presso l'istituto delle Suore Canossiane, si trasferisce a Grenoble, in Francia, dove approfondisce le sue conoscenze di lingua e letteratura francese, materia in cui conseguirà successivamente la laurea.

La giovane maestra Lina Merlin cominciava a rendersi conto delle condizioni in cui vivevano le donne del suo tempo: in particolare non tollerava l'ipocrisia dei capi di famiglia religiosi e osservanti, che non trovavano alcuna contraddizione tra i loro principi e il frequentare le prostitute.

Le case chiuse erano infatti considerate luogo di svago dove i giovani potevano fare esperienza, mentre sarebbe stato scandaloso per una donna avere rapporti sessuali fuori del matrimonio.

Nel 1919 un amico la invita a far parte del movimento fascista: c'è bisogno di organizzare le donne e lei sembra la persona ideale.

Lina si sente attratta invece dagli ideali del socialismo che ritiene più vicini alla sua mentalità e alla sua morale.

Si iscrive perciò al Partito Socialista Italiano, cominciando a collaborare al periodico "La difesa delle lavoratrici", di cui in seguito assumerà la direzione.

Collabora con il deputato socialista Giacomo Matteotti a cui riferisce nei dettagli le violenze perpetrate dalle squadre fasciste nel padovano.

Quando, nel 1925, dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, Mussolini consolida il suo potere, il destino di Angela è ormai segnato. In meno di ventiquattro mesi viene arrestata cinque volte.

Inoltre nel 1926 viene licenziata dal suo impiego di insegnante perché si rifiuta di prestare il giuramento di fedeltà al regime, obbligatorio per gli impiegati pubblici. In seguito alla scoperta del complotto per attentare alla vita del duce da parte di Tito Zaniboni, il suo nome viene iscritto nell'elenco dei "sovversivi" affisso nelle strade di Padova. Lina quindi si trasferisce a Milano dove pensa sia più difficile essere rintracciata. Lì comincia a collaborare con Filippo Turati, ma viene arrestata e condannata a cinque anni di confino,[1] in Sardegna, inBarbagia a Dorgali (NU) dove viene colpita dalla povertà e dall'arretratezza della regione. Anche in quel luogo riesce a conquistarsi il rispetto e la fiducia degli abitanti e soprattutto delle donne, ad alcune delle quali insegnerà a leggere e a scrivere.

Tornata a Milano nel 1930, durante una riunione clandestina incontra il medico ed ex deputato socialista di Rovigo Dante Gallani, che rimane colpito dalla sua eloquenza. Si sposano nel 1932, ma appena quattro anni dopo lui muore. Rimasta vedova a 49 anni, prende parte attivamente alla Resistenza, donando ai partigiani la strumentazione medica e i libri del marito e raccogliendo fondi e vestiario per i partigiani. Insieme a Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi, Laura Conti, Elena Drehr, Ada Gobetti e Rina Picolato costituisce i Gruppi di difesa della donna.

Da una stima effettuata a guerra finita, nei GDD costituitisi in tutta Italia si contavano circa 59.000 donne. Da questa organizzazione nascerà l'Unione Donne Italiane.

In questo periodo Lina prende parte ad azioni di guerra partigiana, rischiando più volte la vita. Catturata dai nazisti, riesce a sfuggire con uno stratagemma. Scrive articoli sul periodico socialista clandestino Avanti!, e nella sua casa di via Catalani 63 Lelio Basso, Sandro Pertini, Rodolfo Morandi e Claudia Maffioli organizzano l'insurrezione.

Lei riceverà l'incarico di occuparsi del settore scolastico, e insieme al professor Giorgio Cabibbe e ai partigiani della Brigata Rosselli occuperà il Provveditorato agli Studi di Milano, imponendo la resa. il 27 aprile 1945 viene nominata dal CLNAI Commissario per l'Istruzione di tutta la Lombardia.

Dopo la liberazione Lina si trasferisce a Roma alla direzione nazionale del PSI prendendo familiarità con l'ambiente politico della capitale, dove l'astuzia e il carrierismo, lontanissimi dalla sua concezione della politica, sembravano dominanti nella nuova classe dirigente. Nel 1946 viene eletta all'Assemblea Costituente.

I suoi interventi nel dibattito costituzionale, quale membro della "Commissione dei 75", risulteranno determinanti per la tutela dei diritti delle donne, e lasceranno un segno indelebile nella Carta Costituzionale. A lei si devono infatti le parole dell'articolo 3: "Tutti i cittadini...sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso", con le quali veniva posta la base giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna, che fu sempre l'obiettivo principale della sua attività politica.

È inoltre degna di nota l'opera di mediazione da lei esercitata tra opinioni contrapposte riguardo alla stesura dell'articolo 40, concernente il diritto di sciopero, proponendo una formulazione analoga a quella presente nel preambolo della Costituzione della IV repubblica francese.

Candidata dal PSI nel collegio di Rovigo, viene eletta al Senato della Repubblica il 18 aprile del 1948. Fin dai primi giorni della sua attività parlamentare dedica tutti i suoi sforzi al miglioramento della condizione femminile in Italia e allo stanziamento di risorse per lo sviluppo dell'area del Polesine, una delle regioni più depresse del settentrione d'Italia, che il 14 novembre del 1951 verrà devastata da una catastrofica alluvione che causerà 84 morti e più di 180.000 senzatetto.

Uno dei punti cardine, se non il principale, dell'opera politica di Lina Merlin è stata la battaglia per abolire la prostituzione legalizzata in Italia, seguendo l'esempio dell'attivista francese (ed ex prostituta) Marthe Richard, che già nel 1946 aveva fatto chiudere le case di tolleranza in Francia, ma in seguito ammise di aver cambiato posizione sulla prostituzione.

Nelle sue battaglie, Merlin seppe mostrare tutta la sua tenacia e - in virtù del rispetto e dell'autorevolezza di cui godeva - seppe ribattere in maniera efficace e tagliente alle battute, talvolta assai poco cavalleresche, che le venivano spesso rivolte nei corridoi di Palazzo Madama dai colleghi.

Nel 1961 le venne fatto sapere che il partito non intendeva ripresentare la sua candidatura nel collegio di Rovigo, dov'era stata rieletta al Senato nel 1953 e alla Camera dei deputati nel 1958, e lei reagì strappando la tessera.

Nel suo discorso di commiato dichiarò che le idee sono sì importanti, ma camminano con i piedi degli uomini, e che lei non ne poteva più di «fascisti rilegittimati, analfabeti politici e servitorelli dello stalinismo».

A 77 anni, nonostante le esortazioni dei suoi sostenitori che avrebbero voluto rivederla candidata anche nelle elezioni del 1963 come indipendente, Lina Merlin decise di ritirarsi dalla politica e di tornare a vivere nella sua casa di Milano insieme a Franca Cuonzo Zanibon, figlia di una sua cugina precocemente scomparsa che le era stata affidata e che lei adotterà come figlia.

La socialista Merlin fu una convinta antidivorzista. Fra l'altro, fece parte del comitato promotore del referendum abrogativo della legge che nel 1970introdusse in Italia il divorzio. Riposa nel Cimitero Monumentale di Milano.

La sua autobiografia verrà pubblicata solo nel 1989, dieci anni dopo la sua scomparsa, per iniziativa di Elena Marinucci, anche lei senatrice socialista.

Nel libro si legge, tra l'altro: «Sono stata coerente con la mia decisione, non ho accolto inviti né da sinistra né da destra, ho rifiutato interviste che avrebbero dato a un fatto serio e doloroso l'aspetto del pettegolezzo, dal quale rifuggo, e di una meschina vendetta derivante da un astio che non sento».

Negli anni seguenti l'approvazione della famosa legge contro lo sfruttamento della prostituzione, proseguì l'attività parlamentare con altri importanti interventi legislativi a favore della condizione femminile e contro le discriminazioni ai danni dei più deboli.

In occasione dell'alluvione del Polesine del novembre 1951, prese parte attiva, con gli altri parlamentari della regione, alla legislazione di soccorso per le popolazioni e le zone colpite. Scrisse Giulio Andreotti:

« Ricordo le sue premure per i bambini ed anche – passi l'accostamento – per le migliaia di tacchini, ingrassati per l'esportazione natalizia e destinati ai militari americani di stanza in Germania; le povere bestie si erano ritirate su strisce di terra che ne evitavano l'affogamento ma non la morte per freddo o fame.

Voleva a ogni costo che anche i tacchini fossero messi al sicuro dagli elicotteri militari; ed ottenne comunque che gli elicotteri stessi lanciassero su di loro abbondanti razioni di mangime.»

A lei si devono, tra l'altro, l'abolizione del "nomen nescio" che veniva apposto sugli atti anagrafici dei trovatelli (legge 31 ottobre 1955 n. 1064), l'equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale, la legge sulle adozioni che eliminava le disparità di legge tra figli adottivi e figli propri, e la soppressione definitiva della cosiddetta "clausola di nubilato" nei contratti di lavoro, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano (legge del 9 gennaio 1963 n. 7).

La sua intransigenza di militante appassionata e la sua inflessibilità con sé stessa e con gli altri, nonché la stizza di molti uomini che le imputavano la scomparsa del loro "intrattenimento" preferito[senza fonte], le procurarono ostilità e inimicizie persino nell'ambito del suo stesso partito. All'inizio degli anni sessanta infatti, il PSI si stava spostando dall'opposizione intransigente verso la collaborazione con la Democrazia Cristiana e di lì a poco avrebbe dato vita ai governi di "centrosinistra".

Anche parecchi suoi compagni di partito mostravano un atteggiamento ostile nei suoi confronti, in particolare tale Franco Bellinazzo, divenuto funzionario della federazione socialista di Rovigo dopo essere stato membro della GNR della RSI durante la guerra e in seguito militante del PCI, il quale, al sentir nominare il suo nome, soleva esclamare «Ma quando xe che la more?»

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