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Clara PetacciClara Petacci, Clarice, Claretta, nasce il 28 febbraio 1912 a Roma, e muore fucilata a Giulino di Mezzegra il 28 aprile 1945.

E’ stata l'amante di Benito Mussolini, da lei idolatrato fin dall'infanzia, fucilata dai partigiani insieme a lui.

Era sorella maggiore dell'attrice Maria Petacci.

Era figlia di Giuseppina Persichetti (1888-1962) e del medico Francesco Saverio (1883-1970), direttore per alcuni anni di una clinica a Roma e introdotto negli ambienti vaticani in qualità di medico dei Sacri Palazzi apostolici.

Per un periodo di vari anni ebbe anche una sua clinica personale, "La Clinica del Sole".

Clara studiò musica con rendimenti alterni e fu allieva del violinista Corrado Archibugi, amico dei suoi genitori.

Il 24 aprile 1932 la Lancia Astura vaticana con a bordo, oltre all'autista Saverio Coppola, Claretta Petacci, la sorella Myriam, la loro madre e il futuro marito di Claretta, Riccardo Federici, lungo la via del Mare che da Roma va al Lido di Ostia, viene sorpassata dalla rossa Alfa 6C 1750 Gran Turismo Zagato guidata da Benito Mussolini.

La Petacci, che già da tempo inviava al Duce numerose lettere di ammirazione, lo riconosce e trova il modo di attirare la sua attenzione, lui accetta poi di scambiare qualche parola con lei.

Da allora sempre più frequenti furono le "udienze" a Palazzo Venezia, che dopo una serie di colloqui confidenziali acquisirono il carattere di una vera e propria relazione.

La Petacci, ormai sposata con il sottotenente della Regia Aeronautica Riccardo Federici (1904-1972), da cui aveva in realtà già preso le distanze, si sarebbe separata ufficialmente nel 1936 (il divorzio ancora non era consentito).

All'epoca del suo incontro con Mussolini, Clara aveva vent'anni, trenta di meno del suo amante.

Mussolini era sposato dal 1915 con rito civile e dal 1925 con rito religioso con Rachele Guidi (detta "donna Rachele"), che aveva conosciuto già durante l'infanzia e alla quale era legato sin da prima del 1910.

Gli erano inoltre state attribuite numerose amanti, tra le quali Ida Dalser (che gli diede il figlio Benito Albino Mussolini), e aveva da poco concluso una lunga ed importante relazione con Margherita Sarfatti.

Mussolini prese a frequentare la Petacci con regolarità, ricevendone le visite puntuali anche nel suo studio di Capo del governo a Palazzo Venezia.

Clara rimase per molti anni fedele «all'amato "Ben"», come chiamava Mussolini nei suoi diari.

Diversi gerarchi del fascismo, d'altra parte, reputavano la relazione tra il Duce e la Petacci - per quanto ufficialmente inesistente e tollerata da donna Rachele - molto inappropriata, perché possibile fonte di scandalo e di accuse di corruzione al regime, suscitando altresì facezie ed amenità tra quanti ne erano informati.

Clara era appassionata di pittura.

Ebbe il ruolo di compagna segreta di Mussolini, di cui condivise i momenti più bui e il destino finale, pare senza mai avanzare la pretesa che lasciasse per lei la moglie Rachele.

La vicinanza di Clara a Mussolini finì per innalzare il rango della sua famiglia, alimentando pettegolezzi relativi a favoritismi e corruzioni, dei quali veniva prevalentemente ritenuto responsabile (anche da ambienti legati alla gerarchia fascista) il fratello Marcello Petacci (Roma 1º maggio 1910 - Dongo 28 aprile 1945).

Verso la fine del 1939 i Petacci si trasferirono dalla residenza medio-borghese di via Lazzaro Spallanzani (confinante con villa Torlonia) nella splendida villa "Camilluccia" (sita sulle pendici di Monte Mario, allora ai margini della città), progettata dagli architetti Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, e che rappresentava un esempio di "arte fascista", chiamata anche Razionalismo italiano.

La grande casa era divisa in 32 locali distribuiti su due piani sovrastati da una terrazza.

Nel sottosuolo, come nella residenza del Duce di Villa Torlonia, era ricavato un rifugio antiaereo, mentre nell'ampio parco erano presenti anche una piscina, un campo da tennis, un giardino fiorito, curato da Clara, un orto e un pollaio, curati dalla madre.

L'accesso al complesso era sorvegliato da una guardiola per il portiere e una per la guardia presidenziale assegnata alla proprietà.

Nell'ala destra del piano terreno (probabilmente per ragioni di sicurezza dovute alla necessaria vicinanza con il rifugio) era posizionata l'alcova di Claretta e Benito.

Composta da una camera con pareti e soffitto ricoperte da specchi e arredata con mobili rosa, era servita da una stanza da bagno rivestita in marmo nero e dotata di grande vasca mosaicata, posta a filo del pavimento, che voleva imitare le vasche termali romane.

All'indirizzo della residenza Petacci (via della Camilluccia, 355/357) erano inviate numerose lettere che richiedevano i buoni uffici di Clara per petizioni rivolte a Mussolini.

Dopo la caduta del fascismo la villa fu confiscata con l'accusa che fosse stata acquistata da Mussolini con fondi sottratti al bilancio dello Stato.

La famiglia riuscì ad opporsi a tale provvedimento e successivamente ottenne la restituzione della villa, dimostrando la falsità dell'accusa.

Più tardi la villa fu venduta, e finì in stato di abbandono, fino a essere definitivamente demolita per far posto a un complesso di edifici che oggi ospitano le ambasciate dell'Iraq presso l'Italia e la Santa Sede.

Travolta dagli eventi della Seconda guerra mondiale, Clara Petacci fu arrestata il 25 luglio 1943, alla caduta del regime fascista, per essere poi liberata l'8 settembre, quando venne annunciata la firma dell'armistizio di Cassibile.

Tutta la famiglia abbandonò Roma e si trasferì nel Nord Italia controllato ancora dalle forze tedesche, e dove poi si instaurò la Repubblica Sociale Italiana. Clara si trasferì in una villa a Gardone, non lontano dalla residenza di Mussolini e dalla sede del governo repubblicano a Salò.

In questo periodo ebbe un fitto rapporto epistolare con Mussolini e nonostante il parere contrario del Duce conservò tutte le missive: in una di queste chiese che, al processo di Verona, Galeazzo Ciano fosse condannato a morte in quanto "traditore, vile, sudicio, interessato e falso", esprimendo quindi una posizione durissima (valevole anche per Edda Mussolini, "sua degna compare") che venne definita dallo storico Emilio Gentile di "rigore nazista".

Trasferitisi a Milano a seguito dell'abbandono della riviera gardesana da parte del Duce, poco dopo la metà di aprile del 1945, il 23 aprile i Petacci - salvo Clara e il fratello Marcello, che rimasero nel capoluogo lombardo - si misero in salvo in aereo, giungendo a Barcellona dopo un avventuroso volo durato quattro ore.

Il 25 aprile, sia Clara sia Marcello si allontanarono da Milano assieme alla lunga colonna di gerarchi fascisti in fuga verso Como, Marcello tentando di riparare in Svizzera con false credenziali da diplomatico spagnolo.

Il 27 aprile 1945, durante l'estremo tentativo di Mussolini di sottrarsi alla cattura, Clara fu bloccata a Dongo da una formazione della 52ª Brigata Garibaldi partigiana, che intercettò la colonna di automezzi tedeschi con i quali il Duce viaggiava.

Taluni affermano che le sia stata offerta una via di scampo, da lei ricusata decisamente.

Avrebbe potuto fuggire in Spagna con i suoi familiari in aereo (Miriam Petacci: "Chi ama è perduto").

Il giorno seguente, il 28 aprile, dopo il trasferimento a Bonzanigo di Mezzegra, sul lago di Como, Mussolini e la Petacci furono uccisi dai partigiani tramite fucilazione, secondo la versione diffusa a Giulino di Mezzegra, sebbene su Clara non pendesse alcuna condanna.

La versione ufficiale, e anche alcune versioni alternative, affermano che venne uccisa perché si oppose all'esecuzione di Mussolini, frapponendosi tra il Duce e gli assassini, oppure perché testimone scomoda.

Nella stessa giornata anche il fratello di Clara, Marcello Petacci, fu ucciso a Dongo dai partigiani, insieme ad altre quindici persone che accompagnavano la fuga di Mussolini.

Il giorno successivo, il 29 aprile, attorno alle ore 14 a Milano, in Piazzale Loreto, i corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci furono esposti (assieme a quelli delle persone fucilate a Dongo il giorno prima e Achille Starace, casualmente catturato a Milano e ucciso direttamente in Piazzale Loreto poco prima), appesi per i piedi alla pensilina del distributore di carburanti Esso, dopo essere stati oltraggiati dalla folla.

Il luogo venne scelto per vendicare simbolicamente la strage di quindici partigiani e antifascisti, messi a morte per rappresaglia in quello stesso luogo il 10 agosto 1944.

Non appena comprese che c'era l'intenzione di appendere per i piedi anche il cadavere della Petacci alla pensilina, don Pollarolo, cappellano dei partigiani, prese l'iniziativa di chiedere a una donna presente tra la folla, la sarta Rosa Fascì, una spilla da balia per fissare la gonna indossata dal corpo di Clara.

Tale soluzione si rivelò però inefficace e così intervennero i pompieri, sopraggiunti con gli idranti a sedare l'ira della folla, a provvedere a mantenere ferma la gonna con una corda.

Attorno alle ore 15, i corpi giunsero all'Obitorio Civico di via Giuseppe Ponzio.

Al calar della notte del giorno dopo, il 30 aprile, per ordine del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.), Claretta Petacci venne sepolta (così come Mussolini e altri) in una fossa del Campo 16 del Cimitero Maggiore di Milano, lasciata anonima per evitare ulteriori oltraggi.

Dopo 2 giorni, di notte, per creare ulteriore difficoltà nella sua individuazione, sempre per ordine del CLN, Claretta venne esumata e traslata in una fossa del Campo 10, il campo perpetuo destinato ai caduti RSI, sotto il nome fittizio di Rita Colfosco.

Qui rimase fino a marzo 1956 quando, con autorizzazione del ministro dell'interno Fernando Tambroni, Claretta Petacci venne esumata, trasportata a Roma e tumulata nella tomba di famiglia al Cimitero Comunale Monumentale Campo Verano, il giorno 16.

In seguito alla morte dei discendenti diretti tra gli anni 1960 e 1970, e il trasferimento dei rimanenti negli Stati Uniti, la tomba è stata nel 2015 dichiarata "manufatto in stato di abbandono" dall'amministrazione cimiteriale.

Un'associazione ha proposto il recupero del manufatto, mentre l'ex sindaco di Sant'Abbondio Alberto Botta ha proposto di traslare la salma a Mezzegra, luogo della morte della donna.

Solo in parte è stato pubblicato il carteggio che, per oltre un quindicennio, si scambiarono Mussolini e Petacci: esso è conservato presso l'Archivio di Stato ed è stato oggetto di un contenzioso giurisdizionale.

tutti pazzi per la Civita

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