La guerra sociale, (dal latino socius, alleato; anche denominata guerra italica o marsica) dal 91 all'88 a.C. vide opposti Roma e i municipia dell'Italia fin allora alleati del popolo romano.
Antefatto Già dal tempo dei Gracchi a Roma si avanzavano proposte d'estensione dei diritti di cittadinanza anche ad altri popoli italici fino ad allora federati, ma senza successo.
La situazione si avviava al punto di rottura quando, nel 95 a.C., Lucio Licinio Crasso e Quinto Muzio Scevola proposero una legge che istituiva un tribunale giudicante a chi si fosse abusivamente inserito tra i cives romani (Lex Licinia Mucia).
Legge, questa, che accrebbe il malcontento dei ceti elevati italici, che miravano alla partecipazione diretta alla gestione politica.
Marco Livio Druso, si schierò per la causa italica avanzando proposte di legge a favore dell'estensione della cittadinanza, ma la proposta non piacque né ai senatori né ai cavalieri.
Il più accannito rivale di Druso fu il console Lucio Marcio Filippo, che dichiarò illegale la procedura seguita per le leggi di Druso, cosicché queste non vennero nemmeno votate.
Nel novembre del 91 a.C. seguaci estremisti di Marcio Filippo mandarono un sicario ad assassinare Druso.
Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra sociale.
La guerra
Dopo l'uccisione di Livio Druso gli italici - esclusi gli Etruschi e gli Umbri - si ribellarono a Roma, capeggiati dal sannita Papio Mutilo.
La rivolta scoppiò ad Ascoli, nel Piceno, dove un pretore e tutti i Romani residenti in città furono massacrati.
Si organizzarono in una libera Lega con un proprio esercito, e stabilirono, dapprima a Corfinium, oggi Corfinio, poi ad Isernia la loro capitale, dove crearono la sede del senato comune e mutarono il loro nome da Lega Sociale a Lega Italica.
Coniarono persino una propria moneta che recava la scritta Italia, nella quale era raffigurato un toro che abbatteva la lupa romana.
Benché Gaio Mario e Gneo Pompeo Strabone riportassero alcune vittorie sui ribelli, nel 90 a.C. il console Lucio Giulio Cesare decise di promulgare la Lex Iulia, con la quale si concedeva la cittadinanza agli italici che non si erano ribellati e a quelli che avrebbero deposto le armi.
Seguì nel 89 a.C. la Lex Plautia Papiria che concedeva il diritto di cittadinanza romana a tutti gli italici a sud del Po.
Il risultato fu di dividere i rivoltosi: gran parte deposero le armi, mentre altri continuarono a resistere.
Roma spese ancora due anni per sconfiggere le città in armi grazie all'intervento di Silla e di Strabone.
Tuttavia, lo scopo che gli Italici si erano proposti era stato raggiunto: essi potevano divenire a pieno titolo cittadini romani.
Una lega, capeggiata dal marsico Silone e dal sannita Mutilo, e composta da Marsi, Peligni, Vestini, Marrucini, Asculani, Frentani, Pentri, Irpini, Venusini, Iapygi, Pompeiani e Lucani mosse contro Roma, sfruttando il fatto che l’esercito romano era composto prevalentemente da loro stessi.
I romani, approfittando dell’inverno, composero un esercito, in cui vi erano anche spagnoli, galli e africani, provenienti dalle neo-colonie.
La lega italica aveva come capitale Corfinium.
I Marsi ottennero molti successi: Asculum, Firmum, Carseoli, Alba Fucens, Amiternum.
Nel 90 a.C. Gaio Mario, nativo di Arpi e quindi sabello, divenne comandante in capo e ottenne delle vittorie nella valle del Liri, forse con l’aiuto di Silla.
Egli aveva capito che doveva combattere in territori più favorevoli al suo esercito poco esperto.
La rivolta si diffuse anche al sud e diverse furono le città apule che insorsero.
Mutilo prese parte della Campania, in particolare la città di Nola, che Annibale non era riuscito ad espugnare, mentre Aesernia cadde dopo un lungo assedio.
Tuttavia la lega non inferse a Roma il colpo finale.
I romani si difesero, arruolando anche liberti, e presso Acerrae ottennero una vittoria su Mutilo. Anche gli umbri e gli etruschi insorsero.
A questo punto, il console Lucio Giulio Cesare propose la Lex Julia che concedeva la cittadinanza romana (quindi tutti i privilegi) a tutte le popolazioni che avessero fatto richiesta.
In realtà queste popolazioni potevano esercitare il diritto di voto solo dopo che le altre 35 tribù collegiali lo avevano fatto, cioè quando l’esito del voto era avvenuto. Gli umbri e gli etruschi aderirono subito e passarono dalla parte dei romani.
Dall’89 a.C. iniziarono le sconfitte degli italici.
Silla sottomise i sanniti, mentre i marsi cominciavano ad indietreggiare sotto l’avanzata del console Strabone, nelle cui file militavano i giovani Cicerone e Pompeo.
La capitale italica fu spostata prima a Bovianum e poi ad Aesernia.
Asculum cadde sotto il controllo romano.
L’89 a.C. vide la marcia su Roma delle truppe di Silla, contravvenendo ad una delle leggi romane più antiche.
Questi voleva riprendersi il potere sottrattogli dal tribuno Sulpicio che aveva proposto una legge secondo la quale agli italici spettava la partecipazione al voto direttamente nelle 35 tribù e che aveva destituito lo stesso Silla dal comando dell’esercito che doveva muovere guerra a Mitridate nel Ponto.
Silla si proclamò dittatore ed attuò delle misure repressive nel mondo politico romano che contribuirono involontariamente ad alleggerire la pressione attorno alla lega italica.
Mario, amico di Sulpicio, era scappato in Africa.
Silla quindi partì per l’oriente.
Nell’88 a.C., la lega affidò il comando delle operazioni militari a quattro generali, probabilmente meddices, non ottenendo però particolari successi di rilievo.
I lucani cercarono di coinvolgere anche i bruzi ed i siciliani nella rivolta, attuando episodi di guerriglia, ma la loro azione venne fermata presso Rhegium, dove si trovava un avamposto romano.
Il proconsole Metello Pio riportò diverse vittorie in Apulia.
Intanto a Roma il console Cinna aveva idee molto vicine a quelle di Sulpicio e, assieme al generale Sertorio, che sarà protagonista della guerra in Spagna contro Pompeo, fuggì dalla città.
Seguendo l’esempio di Silla vi ci ritornò nell’87 a.C. con un esercito.
Mario tornò dall’Africa e svolse la sua attività a favore di Cinna in Etruria.
Il Senato richiamò l’esercito di Strabone, ma questi temporeggiò, allora fu chiesto a Metello Pio di stabilire una tregua con i sanniti.
Questi però rifiutò di aderire alle loro condizioni (concessione dei cittadinanza, conservazione dei bottini, restituzione dei prigionieri).
Invece Cinna e Mario le accettarono e siglarono un accordo, la cui validità era legata al successo dei due romani.
I sanniti, quindi, aiutarono i due a prendere il potere e la guerra sociale finì con la concessione della cittadinanza agli italici.
Dall’87 al 83 a.C. Roma e la Repubblica conobbero un periodo di tranquillità.
Principali eventi
Anno 90 a.C.
• Gneo Pompeo Strabone assedia Ascoli
• Publio Rutilio Lupo viene sconfitto e ucciso in battaglia nella valle di Toleno
• Quinto Servilio Cepione il Giovane viene annientato con le sue truppe da Quinto Poppedio Silone
• I ribelli italici assediano e prendono Isernia, città chiave per il controllo delle comunicazione tra il nord e il sud della penisola italica
• Papio Mutilio prende molte città della Campania fino a quando non viene sconfitto da Lucio Giulio Cesare
• I ribelli fanno raid vittoriosi in Apulia e Lucania
Anno 89 a.C.
• Lucio Porcio Catone viene sconfitto e ucciso
• Lucio Cornelio Silla sconfigge i Sanniti
• I romani riconquistano molte città campaneAnno 88 a.C.
La rivolta italica è quasi del tutto soggiogata, ma i Sanniti resistono.
Roma decide allora di fare concessioni agli italici.
Conseguenze
Con la concessione della cittadinanza, l'Italia peninsulare divenne ager romanus.
Il territorio venne riorganizzato col sistema dei municipia e nelle comunità italiche venne avviato un grande processo di urbanizzazione che si sviluppò lungo tutto il I secolo a.C., poiché l'esercizio dei diritti civici richiedeva specifiche strutture urbane (foro, tempio alla triade capitolina, luogo di riunione per il senato locale).
Tuttavia la cittadinanza romana e il diritto a votare erano limitate, come sempre nel mondo antico, dall'obbligo della presenza fisica nel giorno di voto.
E per la gente di città lontane, in particolare per le classi meno abbienti, non era certo facile recarsi a Roma per votare nelle assemblee popolari.
Così talvolta i candidati pagavano parte delle spese del viaggio per permettere ai loro sostenitori di partecipare al voto.
Di fatto, comunque, a beneficiare della cittadinanza furono soprattutto le "borghesie" italiche, che conquistarono anche la possibilità di accedere alle magistrature.