SFIDA NEGLI ABISSI
Il tesoro del Titanic italiano
Team Usa vuole un carico d’oro, ma Roma si oppone: è una profanazione
LAURA ANELLOSe il «cour de la mer», il diamante a forma di cuore del «Titanic», è un'invenzione hollywoodiana, sui fondali tra Sicilia e Sardegna giace il relitto di un transatlantico che il tesoro a bordo ce l'ha davvero. È quello dell'«Ancona», silurato da un sommergibile tedesco che agiva sotto copertura austro-ungarica durante la Prima guerra mondiale, protagonista adesso di un nuovo conflitto tra la società americana, che dà la caccia al suo oro, e l'Italia, che difende la nave come cimitero di guerra. Una guerra legale a colpi di carte bollate da una parte all'altra dell'oceano, che ha riacceso i riflettori su una tragedia dimenticata e che proprio adesso comincia a rivelare i suoi segreti.
Una storia cominciata sabato 6 novembre 1915 alle 11 e tre quarti, quando l'«Ancona» - un gigante lungo 120 metri e con una stazza di 8200 tonnellate - parte da Napoli con 316 persone a bordo e attracca a Messina, dove ne imbarca altre 130. In tutto 446 passeggeri diretti a New York, in gran parte emigranti, che si aggiungono ai 163 componenti dell'equipaggio. L'indomani, domenica 7, ne moriranno 206, mentre il transatlantico sta navigando fra Sicilia e Sardegna a una velocità di 16 nodi. Mare calmo, foschia bassa, i pochi viaggiatori di prima classe che si preparano a pranzare sul ponte.
Nella stiva 12 bauli d'oro, ciascuno pesante 90 chili, quattro milioni delle lire di allora, trasportati in gran segreto per comprare in America cavalli, attrezzature militari e armi per l'Italia in guerra. Oggi fanno 17 milioni di euro, una cifra che ha svegliato gli appetiti della «Odyssey Marine Exploration» di Tampa, in Florida, specializzata nel recupero di tesori sommersi. «La società - spiega Sebastiano Tusa, soprintendente del mare della Regione siciliana - ha avviato una raccolta azionaria per finanziare l'impresa e ha chiesto alla corte della Florida di inibire ricerche alternative del relitto, chiedendo perfino di non divulgare le coordinate geografiche precise».
Una mossa che ha innescato la reazione delle autorità italiane, sollecitate proprio da Tusa. Il ministero degli Esteri ha appena inviato un ricorso con cui manifesta interesse sul relitto e si oppone alla società, che rivendica la proprietà dell'«Ancona» in quanto «res nullius», cosa di nessuno, e quindi di chi la ritrova.
L'incarico è stato affidato all'avvocato di Washington James Goold, specializzato in diritto del mare, che ha assistito con successo la Spagna contro le intenzioni dell'«Odyssey» su una nave seicentesca affondata vicine all'Andalusia. Qui in Italia ad assistere il governo è Tullio Scovazzi, docente di diritto internazionale a Milano Bicocca, un'autorità nella legislazione del mare. Ma in campo ci sono anche l'Avvocatura dello Stato e il ministero dei Beni Culturali che, insieme con la Regione siciliana, ha appena fatto una declaratoria in cui sostiene che l'«Ancona» è un pezzo di storia italiana. «È un cimitero di guerra che non può essere profanato da società che cercano di far soldi. L'unica iniziativa accettabile potrebbe essere condotta senza scopo di lucro, per documentazione storico-scientifica e con il consenso di tutte le nazioni coinvolte nel disastro», taglia corto Tusa.
Già, perché l'affondamento dell'«Ancona», oltre che una tragedia del mare, divenne anche un caso diplomatico internazionale tra gli Stati Uniti (nove passeggeri erano americani), all'epoca ancora neutrali, e gli austriaci, in guerra con l'Italia. La Germania sarebbe entrata nel conflitto ufficialmente più di un anno dopo, il 27 agosto del 1916.
Ai comandi del sommergibile, il tedesco Max Valentiner, uno che non andava troppo per il sottile tra navi civili e navi da guerra, e che - accusarono gli Stati Uniti - sparò colpi e siluri senza dare tempo ai passeggeri di mettersi in salvo. Dalla ricerca di documenti d'archivio è riemersa la testimonianza al «New York Times» di Cecile Gray, sopravvissuta americana: è lei a raccontare la calca dei passeggeri di terza classe carichi di borsoni, la corsa alle scialuppe, l'assalto improvviso. «Andai nella mia cabina - scrisse - determinata a salvare quello che potevo dei miei valori. Indossai il salvagente, presi una ricevuta di 20 mila lire che avevo lasciato nel bagaglio e incontrai il mio maggiordomo, che mi disse di mettermi in salvo. Un colpo di cannone entrò dal finestrino e lo uccise».
Ma dai documenti è emerso anche il nome di un rappresentante del ministero dell'Agricoltura italiana, tal cavaliere Spiaccacchi, che non è citato nell'elenco dei dispersi, ma che secondo il comandante della nave, Pietro Massardo, morì nel disastro. Con lui viaggiavano i bauli di denaro che non arrivarono mai a destinazione, sepolti adesso sotto 500 metri d'acqua. I sopravvissuti furono recuperati di notte dal francese «Pluton» o approdarono a Tunisi dopo 36 ore di remi. Tredici fra uomini, donne e bambini arrivarono morti a Marettimo, la più remota delle isole Egadi, dopo essere stati sballottati per 10 giorni tra le onde.
Furono seppelliti sotto croci ormai arrugginite, presagio di molti alti corpi che un secolo dopo avrebbero perso nel Mediterraneo la vita e il nome.
LE DATE
6 novembre 1915 - La partenza
L'«Ancona» salpa da Napoli alle 11,15 con 316 passeggeri e ne imbarcherà altri 130 a Messina. La destinazione è New York.
7 novembre 1915 - La tragedia
Il sommergibile tedesco U-38, sotto falsa bandiera austro-ungarica, assalta l'«Ancona» con colpi di cannone e siluri: il transatlantico si trova tra Sicilia e Sardegna, «60 miglia a Nord di Biserta». I morti sono 206.
18 novembre 1915 - I sopravvissuti
A Marettimo, la più lontana delle isole Egadi, arriva una scialuppa con 13 morti. Altri passeggeri erano riusciti ad arrivare vivi a Tunisi.
6 aprile 1917 - L’ora dell’America
Gli Usa entrano in guerra. L'«Ancona» viene considerato tra le cause dell'ingresso nel conflitto.