La morte di Attanasio, il terrorismo islamista, gli stupri
di Mauro Indelicato*
“Nel mondo milioni di cristiani continuano a vivere emarginati, in povertà, ma soprattutto discriminati e in pericolo.
Dopo due anni di pandemia vogliamo tenere acceso un faro su questa oppressione e aiutare Aiuto alla Chiesa che Soffre Onlus a portare conforto e sostegno ai fedeli di tutto il mondo: in particolare coloro che vivono in Libano, Siria e India“
Il Libano, rispetto ai vicini arabi, ha una particolarità: è l’unico Paese del mondo arabo ad essere a maggioranza cristiana.
O almeno così era fino all’immediato secondo dopoguerra.
L’afflusso di profughi palestinesi prima e siriani poi, ha rivoluzionato il mosaico demografico.
Tuttavia la presenza di cristiani è ancora molto significativa.
I censimenti nel Paese dei cedri si fanno oramai a bassa voce, non esistono statistiche ufficiali, ma la comunità dovrebbe rappresentare circa il 40% della popolazione.
Ed è questo il dato principale.
Perché dona al Libano, quando si parla di cristianità in medio oriente, un ruolo politico, storico e sociale fondamentale.
Il ruolo dei maroniti
La diffusione del cristianesimo nell’area libanese la si deve soprattutto alla Chiesa cosiddetta “maronita“, sviluppatasi intorno al V secolo.
Il suo nome deriva dal fondatore San Marone, un asceta vissuto in Siria e morto nel 452.
I suoi discepoli hanno dato vita a una comunità che nel corso dei decenni ha considerato l’odierno Libano come sua base principale.
Inizialmente la chiesa maronita ha seguito il Patriarca di Antiochia.
Successivamente si è dotata di maggiore autonoma, pur rimanendo comunque all’interno dell’alveo romano.
I maroniti infatti hanno sempre riconosciuto l’autorità papale.
Dunque oggi è possibile considerare la Chiesa maronita come pienamente organica alla Chiesa cattolica. Una sorta di “dualismo identitario” sancito ufficialmente nel sinodo maronita nel 2004.
Qui i vescovi maroniti hanno approvato i cinque elementi distintivi della comunità.
Gli ultimi due riguardano proprio la fedeltà alla Cattedra di San Pietro e il suo radicamento nella storia del Libano. Per questo ancora oggi sono proprio i maroniti a costituire il numero più rappresentativo dei fedeli cristiani nel Paese.
Una circostanza ben rintracciabile a livello politico.
Quando nel 1943 il Libano ha optato per l’indipendenza dalla Francia, è stato stilato un “patto nazionale“, valevole ancora oggi, con il quale si è sancita la divisione delle più importanti cariche politiche.
Ai cristiani maroniti è stata affidata la nomina del presidente della Repubblica.
Da allora fino ad oggi i capi di Stato libanesi sono sempre stati maroniti.
L’afflusso di profughi dalla Palestina dopo la prima guerra arabo-israeliana del 1948 ha determinato non poche tensioni.
Gli equilibri tra le varie comunità etniche e religiose in Libano sono stati messi pesantemente in discussione.
L’ingresso dell’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, i disagi economici avvertiti dalla popolazione sciita e i timori dei maroniti di perdere la maggioranza, hanno esasperato il clima.
Tutto questo ha portato al periodo più buio della storia recente libanese, culminato con la grande crisi del 1958 e la guerra civile iniziata nel 1975.
A livello politico, i partiti rappresentanti i maroniti sono confluiti nelle Falangi e nelle Forze Libanesi, queste ultime vere e proprie milizie sciolte poi soltanto negli anni ’90.
In questa fase la sicurezza è rimasta precaria per tutti i vari cittadini libanesi, tanto cristiani quanto musulmani.
Le ferite aperte durante il conflitto ancora oggi non sono state del tutto rimarginate.
I cristiani nel Libano di oggi
Quella maronita non è comunque l’unica comunità cristiana libanese.
Fino al 1932 il 10% della popolazione professava la religione ortodossa.
Una percentuale oggi inferiore e non meglio precisata.
Gli ortodossi libanesi in gran parte appartengono alla comunità greco-ortodossa.
Sono presenti, con percentuali inferiori al 10%, i cattolici romani e in minor misura i cattolici di rito armeno.
Poco meno del 2% invece appartiene alla famiglia protestante.
Più o meno tutte le varie comunità cristiane sono rappresentate da partiti politici.
I maroniti hanno come riferimento soprattutto le Falangi e le Forze Libanesi, ma dal 2005 sulla scena parlamentare si è affacciato anche il Movimento Patriottico Libero di Michel Aoun, attuale presidente della Repubblica.
In parlamento sono presenti anche membri di partiti armeni e indipendenti appartenenti alle altre confessioni cristiane.
Il punto di equilibrio, in un sistema che privilegia la suddivisione su base settaria degli incarichi, è stato raggiunto con gli accordi di Taif del 1989.
Con quel documento, che ha sancito la fine della guerra civile, ai cristiani è stata riservata la metà dei seggi in parlamento, mentre l’altra metà è suddivisa tra sciiti, sunniti e drusi.
Un compromesso che, unito alla conferma dell’attribuzione ai maroniti del ruolo di presidente della Repubblica, ha contribuito a far diminuire le tensioni.
Ma i problemi non mancano.
I cristiani, al pari del resto della popolazione, stanno patendo gli effetti di una lunga e deleteria crisi economica.
Oggi a Beirut e in tutte le altre principali città del Paese, i principali servizi sono a rischio: manca il carburante, l’elettricità viene erogata per poche ore al giorno, il prezzo dei beni di prima necessità è alle stelle.
Crisi politiche e mancanza di riforme hanno lasciato sul lastrico il Libano e questo, tra le altre cose, sta facendo sorgere il timore di nuovi scontri tra le varie comunità.
I cristiani libanesi hanno quindi due sfide davanti a loro.
Da un lato respingere le tensioni e, dall’altro, contribuire alla rinascita del Paese dei cedri.
Obiettivi non semplici, anche considerato il mai domato spettro del terrorismo jihadista.
*www.it.insideoder.com