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Una sciagura dimenticata

Il piroscafo, partito da Trieste, aveva fatto scalo a Palermo e poi a Napoli e lì aveva imbarcato il numero maggiore di passeggeri.

Nella serata del 17 marzo 1891 si era consumata la tragedia nella baia di Gibilterra.

Nel naufragio persero la vita 563 emigranti, molti della Provincia di Chieti, di cui 15 di Fraine.

Il mare grosso, la tempesta in corso, la scarsa visibilità, forse un ordine sbagliato del capitano John Mac Keague sono la causa del naufragio della nave della speranza.

Il flusso migratorio era inarrestabile, sebbene dalle pagine del locale Giornale di Sicilia venisse spesso ripetuto con forza l’invito a non emigrare.

Infatti, nel numero del venerdì 27 - sabato 28 1891 del giornale palermitano si legge: NON EMIGRATE!

Tutto ciò che da qualche tempo in qua avviene in America par fatto apposta per calmare gli ardori di tanti disgraziati, i quali vogliono emigrare ad ogni costo pel nuovo mondo.

Ormai, è tempo che la stampa predichi su tutti i toni: l’America non è più l’Eldorado delle epoche passate; la lotta per la vita non è ivi meno terribile che nel vecchio continente; e, quel che è peggio, laggiù non tira buon vento per gli stranieri in genere, e per gli italiani in ispecie.

Ecco ciò di cui le masse popolari dovrebbero ormai persuadersi.

L’emigrazione per l’America non è più possibile.

A Chicago, e in tutto lo Stato dell’Illinois, è attuata col massimo rigore una legge che proibisce di far lavorare gli stranieri: perciò, quella parte degli Stati Uniti è già chiusa ai nostri compatrioti, come agli altri europei.

Una legge uguale verrà adottata tra breve da parecchi altri Stati dell’Unione.

Migliaia di italiani privi di lavoro, languono già nella miseria; che cosa sarà poi quando questa legge andrà estendendosi in quasi tutti gli Stati Uniti?

Né le Repubbliche del Sud America offrono migliore ospitalità.

La guerra civile che le dilania rende impossibile il soggiorno agli stranieri, i quali soggiacciono a tutte le crudeltà della guerra o della miseria.

Che dire poi degli orribili patimenti sofferti in questo momento dagl’italiani nel Brasile, nel Cile e altrove?

La stampa predica, ma non è ascoltata.

Speriamo che questi ultimi fatti valgano a illuminare le menti dei nostri poveri contadini, illusi dalle mirabolanti promesse degli agenti d’emigrazione…

Il naufragio dell’Utopia, in cui hanno perduto la vita 500 emigranti italiani, sembra quasi un avvertimento della Provvidenza!

Italiani, fratelli nostri, restate a casa vostra ! ...

Miseria per miseria - meglio vale quella che si soffre nel proprio paese!

La questione se emigrare oppure no era davvero un grande dilemma per quelle popolazioni che versavano in stato di indigenza e di miseria indicibili.

L’emigrazione era l’unico evento che avrebbe potuto cambiare qualcosa nella propria vita.

Ma c’erano tanti pericoli da affrontare, tante insicurezze da superare, tante paure da esorcizzare.

I passeggeri dell’Utopia non potevano immaginare l’inferno che avrebbero affrontato e da cui molti non sarebbero più tornati.

Erano stati allettati i nostri compaesani sicuramente da tutte le abbondanze da cui furono attratti i personaggi del film di Crialese “Nuovo Mondo”: fiumi di latte, carote gigantesche, leccornie varie. Ma non avrebbero potuto lontanamente immaginare che molti di loro non avrebbero potuto rivedere la Brigna, la Piazza del Popolo, oggi Piazza Umberto I, con le due matrici di San Nicola e dell’Annunziata con tutta quella fiumana di contadini ed i loro scapulàra quando la domenica esce dalle chiese dopo la Santa Messa; non avrebbero potuto partecipare alle lunghe liturgie bizantine, ascoltare il Christòs anèsti o la resurrezione di Lazzaro, la sveglia di San Giuseppe o dell’Annunziata; assistere alla processione dell’Urna o dell’Addolorata; osservare i papàdes sposati con i muli “posteggiati” nell’edificio sacro, durante la celebrazione, o i monaci cappuccini del convento latino, con tanto di cortile interno con cisterna per l’acqua e botola che durante la tredicina di Sant’Antonino poteva essere visitato.

Tutto questo sarebbe probabilmente rimasto nei loro cuori e nella loro mente e il loro ricordo sarebbe stato una forma di medicina in un paese straniero che non sempre si sarebbe manifestato ospitale.

E invece in una fredda, umida e tragica serata di marzo del 1891, tutti i sogni di un mondo nuovo e migliore si sono infranti nella baia di Gibilterra, territorio di pertinenza della regina d’Inghilterra.

Il Giornale di Sicilia del 25-26 marzo 1891 riporta alcuni brani tratti dalla lettera di un superstite della nave Utopia: “Le onde gonfiate dalle raffiche impetuose di tramontana, s’ergevano alte, minacciose, terribili.

In coperta i marinai avevano ormai perduta la testa ed il capitano dichiarava impossibilitato a far eseguire gli ordini.

Sotto coperta i passeggeri s’erano raggruppati, stretti l’un l’altro, quasi che così allacciati avessero potuto sfidare la morte.

Donne colle mani nelle chiome sparse arruffate, stringenti nervosamente al petto bimbi dagli occhi spauriti; uomini, cui la paura aveva resi incoscienti, stavano accoccolati, cogli occhi fissi a terra, colle guance smorte, co’ denti che battevano convulsamente”.

“Quando le onde spumeggianti ed irate si aprivano per ingoiare la superba nave, erano tutti in coperta.

Due minuti dopo la catastrofe era compiuta”.

“Appena mi trovai in acqua mi credei perduto, e già mi ero rassegnato alla mia sorte, quando scorsi a pochi metri da me un pezzo di legno galleggiante.

Lo raggiunsi, mi ci posi a cavalcioni ad aspettare la morte.

Intanto il mare andava lentamente rabbonendosi”.

“Finalmente sopraggiunse una barca condotta da un ufficiale -un bel giovane- che stava al timone ed un marinaio inglese”.

Nel giornale Roma tra le scene orribili vengono citati anche alcuni passeggeri di Mezzojuso tra cui una certa Giuseppa La Barbera: Giuseppa La Barbera, di anni 47, da Mezzoiuso (Palermo) che accompagnava sua figlia Angiolina Crettilla di anni 22 e suo marito in America, afferratasi ad una tavola, teneva la figlia stretta al braccio; ma un’onda la portò via.

Vedevansi gruppi di uomini e donne abbracciati in modo da formare un sol corpo.

Un gruppo era formato da 5 uomini e 10 donne, 4 fanciulle e 3 bambini.

Una madre afferratosi ad una tavola teneva coll’altro braccio in alto un suo bambino di poco più di un anno, gridando soccorso, ma un colpo di vento glielo tolse.

Allora un grido straziante uscì dal petto della povera madre.

Vari naufraghi che si erano salvati, non vedendo i loro congiunti si gettarono nuovamente in mare, per salvarli, ma rimasero preda delle onde.

Si parla del coraggio dei marinai inglesi che salvarono molti passeggeri ed in questo tentativo due di loro perirono.

Scrive il giornale di Sicilia del 28-29 marzo 1891: Meritano lode su tutto i valorosi marinai inglesi, che questi poveri superstiti del naufragio, ricoprono di benedizioni, per le cure prodigate loro con tanto amore da quei gagliardi coraggiosi giovani della marina inglese.

E quanta nobiltà di sacrificio si racchiude nella morte avvenuta in mare, in quella sera, dei due marinai inglesi dell’incrociatore Immortalité, George Hale e John Croton, vittime del loro coraggio nel salvataggio dei naufraghi!

Mille volte benedetti.

Presso l’archivio storico del Ministero per gli affari esteri, si trova la seguente lettera dell’ambasciata italiana di Londra, a firma dell’ambasciatore Tornelli, datata 13 aprile 1891:

Caro Comandante, il R.° Ministro degli Affari Esteri mi informa con dispaccio giuntomi oggi di essersi unito a quello della Marina nel concetto di onorare in qualche modo la memoria dei due marinai inglesi, Croton et Hale, appartenenti all’equipaggio della “Immortalità”, morti ambedue nel salvataggio degli emigranti italiani dell’”Utopia”.

Si tratterebbe d’una elargizione di mille lire in oro a ciascuna delle due famiglie offerta dai detti ministeri.

Prima di procedere a tale distribuzione desidererei conoscere se, in qualche luogo, i defunti abbiano lasciato famigli, quale ne sia il grado di parentela e quale infine le loro condizioni  economiche per considerare nel caso che non fosse più conveniente per loro, invece della somma apparentemente non troppo vistosa, un ricordo di altra natura, potrebbe essere, per esempio, una medaglia in oro, attestante l’opera coraggiosa dei due marinai.

Mi rivolgo quindi alla sua gentilezza perché voglia, particolarmente per mezzo di quello ammiragliato, procurarmi le dette informazioni. Amb. Tornelli.

Come si evince, il nostro governo si preoccupa di onorare giustamente il coraggio dei due marinai inglesi morti per salvare i nostri connazionali, ma chi si preoccupò di risarcire le famiglie degli emigranti deceduti nel disastro dell’Utopia, se nel processo il capitano Mac Keague fu non solo assolto da ogni responsabilità ma gli fu persino ridata la licenza di comandante?

Come se non bastasse, un centinaio di superstiti proseguirono il viaggio verso New York con il piroscafo Anglia e, all’arrivo della nave, qualcuno dei parenti che attendevano, non vedendo arrivare i propri congiunti e intuendo il triste presagio, pare si fosse gettato in mare per la disperazione.

Anche questa vita è da aggiungere al numero delle vittime dell’Utopia.

tutti pazzi per la Civita

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