Fernando Tambroni, politico, nasce il 25 novembre 1901 ad Ascoli Piceno, e muore a Roma il 18 febbraio 1963
È stato il 9º Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana.
Trasferitosi sin da giovanissimo con la famiglia a Urbisaglia, nella zona di origine della propria famiglia, Matelica, dove tutt'ora c'è la tomba di famiglia, si dedicò alla professione di avvocato.
All'età di vent'anni fu esponente locale di spicco del Partito Popolare Italiano, oltre che vicepresidente della Fuci e a ventiquattro anni fu eletto segretario provinciale per Ancona del PPI.
Dopo l'instaurazione del regime fascista di Benito Mussolini, nel 1926 subì un fermo di polizia per antifascismo.
Successivamente a quell'episodio chiese e ottenne l'iscrizione al Partito Nazionale Fascista e allo scoppio della guerra fu arruolato nella Milizia contraerea ad Ancona.
Nel convulso triennio 1943-1945 abbandonò il PNF per iscriversi alla Democrazia Cristiana, senza però partecipare in prima persona alla Resistenza partigiana.
Dopo la Liberazione fu eletto deputato della DC all'Assemblea Costituente e fu rieletto in questa carica alle elezioni politiche del 1948, 1953 e 1958.
Tambroni ricoprì l'incarico di sottosegretario e poi di ministro della marina mercantile (1950-1955), e tenne la guida del Viminale dal 1955 (anno in cui utilizzò il metodo Cesare Mori per catturare il boss della 'ndrangheta Salvatore Castagna che in una sola giornata aveva ucciso cinque suoi compaesani, invitando il questore di Trieste Carmelo Marzano) al 1959, nel primo governo di Segni, nel governo di Zoli e nel primo governo di Fanfani: da ministro dell'interno si dimostrò molto determinato e meticoloso, ma anche grintoso e spregiudicato, attirandosi voci a proposito di una presunta gestione disinvolta di dossier riservati.
In realtà, accadde che tra i dossier riservati che il servizio segreto del suo ministero aveva confezionati, Tambroni notò anche il proprio, probabilmente commissionato dal suo predecessore e relativo alla sua relazione extraconiugale con l'attrice Sylva Koscina.
Qualche tempo dopo, Mario Scelba fu "convinto" a desistere dal suo proposito scissionista di formare un nuovo partito di ispirazione cattolica, alternativo alla Democrazia Cristiana, dalla pubblicazione sui giornali scandalistici di una foto che lo ritraeva in compagnia di un'avvenente ragazza.
Il 26 marzo 1960 Fernando Tambroni, che si era messo in luce al VII congresso della DC del 1959 con un discorso "aperturista" nei confronti del centrosinistra, ricevette l'incarico di formare un governo per sostituire quello dimissionario guidato da Antonio Segni.
L'obbiettivo politico era quello di superare l'emergenza, attraverso un "governo provvisorio", in grado di consentire lo svolgimento della XVII Olimpiade a Roma indetta in agosto e di approvare il bilancio dello Stato entro il 31 ottobre 1960, come previsto dalle leggi in materia di contabilità di Stato vigenti all'epoca.
L'8 aprile, il governo monocolore democristiano formato da Tambroni ottenne la fiducia della Camera, con una maggioranza di soli tre voti (300 sì e 297 no) e con il determinante appoggio dei deputati missini.
La circostanza causò le dimissioni irrevocabili e immediate dei tre ministri appartenenti alla sinistra della DC: Bo, Pastore e Sullo.
L'11 aprile, dietro esplicito invito del proprio partito, il governo rassegnò le dimissioni e il presidente Giovanni Gronchi assegnò l'incarico ad Amintore Fanfani.
Questi, tuttavia, dovette rinunciare, e Gronchi, anziché cercare una soluzione diversa, invitò Tambroni a presentarsi al Senato per completare la procedura del voto di fiducia.
Il 29 aprile, sempre con l'appoggio dei missini e con pochi voti di scarto (128 sì e 110 no), il governo Tambroni ottenne la fiducia del Senato.
Alcuni storici vedono in questa fiducia data dal Movimento Sociale una convergenza di interessi fra Tambroni e l'allora segretario missino Arturo Michelini.
Il primo, alla ricerca dell'appoggio del centro-sinistra rappresentato da PSI e PSDI, desiderava trattare da una posizione di forza assicuratagli da una sicura governabilità garantita dai voti dei missini.
Di contro Michelini desiderava far entrare il proprio partito all'interno del gioco parlamentare sfuggendo al mutuo accordo non scritto tra tutte le forze politiche presenti in parlamento (DC e PCI per primi) secondo cui al Movimento Sociale, partito d'ispirazione neo-fascista e quindi secondo la legge vietato, sarebbe stata garantita rappresentanza parlamentare ma ci si sarebbe assicurati di lasciarlo fuori dalle dinamiche parlamentari e dai governi cosa che avverrà fino agli anni novanta e alla cosiddetta svolta di Fiuggi, ispirata dalla tesi di Domenico Fisichella e caldeggiata da Pinuccio Tatarella, dove, abbandonando riferimenti ideologici al fascismo al fine qualificarsi come forza politica legittimata a governare, gran parte dei missini confluiranno in Alleanza Nazionale.
Una volta entrato nel pieno delle funzioni, il nuovo governo adottò una serie di provvedimenti (ad esempio, la diminuzione del prezzo dello zucchero e della benzina) che furono interpretati da una parte dell'opposizione come dettati da scelte demagogiche.
In quelle settimane fu fondato a Roma un quotidiano, Telesera, diretto dal socialista Ugo Zatterin, ma apertamente filo governativo.
La decisione presa nel maggio 1960 dal Movimento Sociale Italiano di convocare il suo sesto congresso a Genova, città decorata con la Medaglia d'oro della Resistenza da cui era partita l'insurrezione del 25 aprile, fornì l'occasione ai partiti di sinistra di scendere in piazza al fine di mettere in difficoltà il Governo Tambroni.
La protesta si fece sentire sempre più forte. Tambroni scelse la linea dura, originando i noti fatti di Genova del 30 giugno 1960, che si estesero rapidamente al resto del paese.
Il 7 luglio a Reggio Emilia furono uccisi cinque manifestanti.
Alla fine non ci fu altra scelta che impedire il congresso del MSI.
I missini votarono conseguentemente contro la legge di bilancio del governo.
Tambroni temporeggiò fino al 19 luglio dichiarando di essere in attesa di un accordo tra i partiti ma alla fine dovette dimettersi: gli successe Amintore Fanfani.
Il 26 luglio 1960 si insediò un nuovo governo monocolore democristiano, guidato da Fanfani e appoggiato da socialdemocratici, liberali e repubblicani. Tambroni non entrò a farne parte.
Fernando Tambroni non ebbe più incarichi politici di rilievo, e morì meno di tre anni più tardi per un arresto cardiaco, all'età di 61 anni.
Pochi giorni prima il segretario della DC, Aldo Moro, gli aveva comunicato la decisione del partito di non ricandidarlo alle imminenti elezioni politiche.