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Le Panicelle di San Biagio

Ricorrenza il 3 febbraio

Taranta Peligna sorge a sinistra del fiume Aventino, su di una altura che domina la valle cir­costante, nei pressi della rete tratturale maggiore, a non eccessiva distanza dalla Via della lana che congiungeva, attraverso l'Appennino centrale, già in epoca medioevale, Firenze a Napoli.

Il paese probabilmente si sviluppò su un più antico insediamento, nell'ambito della economia pastorale, con la formazione di una classe artigia­na di lanieri, scardatori e tessitori.

Il centro dovet­te assurgere ben presto ad una notevole importan­za, tanto che nel 1269 Carlo d'Angiò concedeva a Bordello da Coito, per ripagarlo dei servigi ottenu­ti nella conquista del Regno di Napoli, le gualcherie e gli opifici esistenti sulle rive dell'Aventino.

Qualche secolo dopo Taranta, che intanto aveva raggiunto una prestigiosa fama in tutta l'Europa per i suoi panni e per le pesanti coperte tessute a diversi colori, riorganizzò l'attività artigianale e mercantile sotto la famiglia dei Malvezzi di Bologna, imparentata con i Medici.

In questo contesto il paese, oltre a quello di San Nicola, sviluppò il culto di San Biagio, anch'esso legato alla cultura pastorale perché si tramanda che il Santo vescovo di Sebaste sia stato martiriz­zato nel 316 d. C. con lo scardasso, un pettine con i denti di ferro, usato per ammorbidire i fiocchi di lana.

Se si può supporre che la devozione per San Biagio risalga almeno al secolo XIII, è solo nel 1536 che la classe dei lanieri si costituì in confra­ternita, dando vita alla tradizione delle panicelle e realizzando una grandiosa chiesa, di cui oggi restano solo la facciata principale e le porte lignee intagliate.

Il 31 gennaio i confrati, guidati dal prio­re, si recano solennemente alla casa di San Biagio, che è la storica sede del sodalizio e, alla presenza dei devoti, danno inizio all'ammasso per confe­zionare i pani sacri.

Per fare questo sollevano i pesanti coperchi delle madie che precedentemen­te sono state riempite di farina bianca e setaccia­ta, ottenuta con una questua fatta a nome di San Biagio.

Con movimenti lenti e cadenzati versano l'acqua tiepida sulla farina e poi cominciano ad ammassare l'impasto.

La cerimonia assume aspetti di intensa ritualità, sia per l'etichetta che regola tutta la pratica, sia perché i confrati sono elegantemente vestiti e pro­cedono alla lavorazione della pasta indossando bianche camicie, sia infine perché il parroco bene­dice la massa, pronunciando le formule devozio­nali.

Quando l'impasto ha" raggiunto la consisten­za e la plasticità voluta, viene fatto lievitare, aven­do cura di coprirlo con un panno di lana e di chiu­dere il coperchio delle madie.

Dopo il necessario tempo di riposo e lievitazio­ne le donne, che solitamente sono legate da vin­coli parentali con i membri della confraternita, procedono alla confezione delle panicelle, realiz­zate affiancando quattro cordoni di pasta delle dimensioni e della forma di una mano benedicen­te.

Le panicelle, segnate con il marchio di San Biagio, che è il timbro della Confraternita, sono accomodate su recipienti di pietra levigata detti piatene.

È compito delle ragazze recarle a cuocere nel forno.

Da qualche anno il trasporto ha assun­to la forma di un vero e proprio corteo serale, tra due ali di folla che rischiarano la strada con il lume delle fiaccole.

Il 3 febbraio, durante le cerimonie liturgiche e dopo la processione, le panicelle sono distribuite ai fedeli che le mangiano in devozione di San Biagio e ne conservano alcune per preservare soprattut­to i bambini dal mal di gola. Taranta non è l'unico centro in cui è presente il culto di San Biagio.

Cerimonie altrettanto importanti, anche se meno pittoresche, si compiono a Bussi sul Tirino, a Canzano, Colledimezzo, Fontecchio.

In tutte è pre­sente il motivo della distribuzione dei pani e delle preparazioni cereali. Infatti la festività di San Biagio assume una grande importanza nel calen­dario contadino che da quella data comincia a cal­colare il tempo intercorrente tra questo periodo e la luna di primavera: si ripetono così una serie di cerimonie di purificazione e propiziazione agraria che trovano la loro origine in quel complesso di riti che dalle calende di febbraio continuava fino alle cerimonie dei luperci.

Fonte Edizioni Menabò – d’Abruzzo

Vedi anche: Taranta Peligna Story; San Biagio

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