Scutari
di Roberto Duiz
Niente traffico di natanti sul lago di Scutari. Solo poche piccole barche di latta arrugginita spinte con un unico remo da pescatori di carpe, poi servite “alla tegola” nei pochi ristoranti affacciati su spiaggette sassose.
Un tempo era un’importante via di comunicazione tra il Montenegro e la Turchia. Oggi, visto dalla sponda albanese, è un capolinea, oltre al quale, ad est, ci si può solo perdere in montagne impervie e impercorribili.
Funghi di cemento armato spuntano ovunque sul lungolago, ricordando il quasi mezzo secolo di delirante isolamento dell’Albania dal resto del mondo.Epoca catalogata sotto la voce “socialismo reale”, ma più precisamente identificabile con un nome proprio: Henver Hoxha, l’uomo di stato che passò metà della sua vita a controllare che non uscissero notizie da dentro e l’altra metà a controllare che non entrassero notizie da fuori.
Di quei funghi indistruttibili si calcola ce ne siano almeno seicentomila a ridosso dei confini di un paese indotto dal suo Capo a credere d’essere totalmente circondato dall’”Impero del Male”.
Asinelli marroni e grigi vi brucano attorno, del tutto indifferenti alle rare auto di passaggio, ballonzolanti sulle buche, a tratti voraginose, della strada.
Eppure, visto dall’alto dell’imponente fortezza che lo sovrasta, quel lago bislungo e sinuoso riacquista in pieno il fascino che la collocazione geografica e la storia gli meritano.
All’ingresso di quelle mura che furono aspramente contese tra veneziani e turchi il leone di San Marco ha ancora le ali spiegate.
In una nicchia rimane acquattato il fantasma di Rozafa, la donna da cui la fortezza ha preso il nome e che, secondo la leggenda, acconsentì di farsi murare per sfatare un sortilegio, chiedendo solo che le fossero lasciati liberi un seno, una mano e un piede, per poter continuare ad allattare, accarezzare e cullare il suo bambino.
Leggende balcaniche, sempre oscillanti tra violenza e dolcezza, come nelle baraonde: musica e danze sfrenate ad alto tasso etilico, euforia grondante malinconia struggente.
Murati da leggenda e murati nella realtà, vivi, come quelle centinaia di persone che non possono uscire di casa, a Scutari e dintorni, se non vogliono finire ammazzate, perché le antiche faide sono sempre in auge e solo tra le mura domestiche l’implacabile “legge della montagna” non può essere applicata.
Scutari, accarezzata da due fiumi (Drina e Boiana) fuoriuscenti dal lago che prende il suo nome, è la storica “capitale culturale” d’Albania.
Musulmani e cattolici vi convivono pacificamente da sempre. Galli e muezzin fanno a gara a chi dà la sveglia prima la mattina.
Città mercantile e portuale, un tempo, oggi è il capoluogo della regione più povera della nazione più povera d’Europa. Corrente elettrica centellinata, strade dissestate, case che si sciolgono nella pioggia. Dalle montagne scendono le donne nei giorni di mercato.
Frutta, verdura, tovaglie, coperte, tabacco ed altre povere cose allineate per terra. Un tizio ricarica accendini usa e getta. Un altro sgozza la pecora in diretta per dimostrarne la “freschezza”.
L’età media, a Scutari, è di 28 anni.
I giovani vanno a ballare alla mattina, perché alla sera le ragazze non possono uscire.
Nel buio aspettano, incerti. Sperano che la ricostruzione vera duri meno della guerra finta di cui sono figli.
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