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I segreti dei Faraoni Neri

Viaggio nella Nubia

Un intenso itinerario alla scoperta dei più bei siti archeologici della Nubia sudanese, tra incontri nomadi, navigazione sul Nilo, campi tra le dune e Dervisci danzanti.

di Cecilia Martino
Il Sudan è una vera sfida, per tutti. Per chi ci vive, per chi ci viaggia, per chi ci investe. La convivenza di 500 gruppi etnici che parlano più di mille dialetti differenti, le esagerazioni del clima sahariano che da queste parti raggiunge picchi impietosi e che, in ogni caso, limita drasticamente la periodicità dei viaggi possibili, la verginità mentale di un popolo quasi del tutto estraneo al turismo: eccoli, rispettivamente, i “limiti” che chiamano in causa popolazioni locali, viaggiatori turisti e operatori del settore.

Il risultato però è che un viaggio in Sudan è fare esperienza nel vero senso della parola, qualcosa che ha molto a che vedere con le esplorazioni di un tempo. 

La nostra spedizione ha come meta il Regno dei Faraoni neri e i siti archeologici nubiani, in una porzione di terra che va delimitata con qualche coordinata -  vista l’estensione territoriale di quello che è lo stato più grande del continente, anello di congiunzione tra il mondo arabo e l’Africa nera.

I Nubiani sono i diretti discendenti delle prime popolazioni che si accamparono sulle rive del Nilo a sud di Assuan ed oggi questo termine si riferisce alla minoranza etnica che vive nella valle del Nilo, tra la prima e la quarta cataratta, cioè tra Assuan e Karima.

Con il nome di Nubia era nota fin dai tempi antichi l’estrema fascia settentrionale che va dalla capitale Khartoum fino all’egiziano lago Nasser ed è qui che si fondono realtà e leggende di uno dei regni più misteriosi del passato, quello di Kush a sua volta legato all’avvincente sorte della XXV dinastia detta, appunto, dei “Faraoni neri”.

L’incredibile quantità di rovine archeologiche – tra tombe ipogee, piramidi, necropoli – rende la Nubia una miniera d’oro per risalire alla storia delle antiche civiltà che qui si sono susseguite per quattromila anni, spesso in stretta connessione con quella egizia di cui le influenze sono evidenti non meno che i tratti originali di una interpretazione del tutto autoctona di divinità e scritture sacre.

Non c’è nulla di simile altrove nel mondo all’arte meroitica, ad esempio, quale compare in una delle sue versioni più superbe nel sito archeologico di Naga (località sacra del periodo meroitico che va dal 500 a.C. al 350 d.C.) dove il grande tempio dedicato al dio Leone Apedemak ci fa ricordare e insieme dimenticare l’imprinting egizio.

Il dio Leone, infatti, è estraneo al pantheon egizio mentre ricorre nella cultura sacra nubiana come simbolo della regalità dei sovrani. A Naga se ne possono ammirare raffigurazioni in cinque differenti stili, tutti perfettamente conservate.

La grande maggioranza dei siti meroitici è quella individuata come “isola di Meroe”, area compresa tra il Nilo e il fiume Atbara. Le località più importanti sono MeroeMusawwarat Es Sufra, Naga e Basa. Tra tutte, ovviamente, spicca la città reale Meroe e le sue necropoli con oltre 40 piramidi che danzano immobili tra le dune su una collina a circa 3 chilometridal Nilo.

E’ un colpo d’occhio spiazzante, e se si ha la calma di attendere i giochi della luce solare più arditi (alba e tramonto), qualcosa della mitica città di Kush sembra venir fuori dalle viscere della terra infuocata. Queste 40 costruzioni, luogo di sepoltura dei sovrani dell’antico regno kuscita, sono il più grande agglomerato di piramidi mai conosciuto.

Dopo chilometri e chilometri di distese brulle che lasciano lo sguardo vagare in immense pianure di arenaria, le apparizioni delle piramidi – e delle rovine che spuntano durante tutto l’itinerario del viaggio – sono quasi ancore del pensiero a cui la mente, alla fine, si abitua  e quasi non ne può più fare a meno. Un appiglio che un po’ seduce per la storia incredibile di cui sono memento, un po’ consola, dopo tanto vagare nel caldo a tratti insopportabile. 

Un altro Dio ci tiene per mano durante tutto il viaggio, oltre ad Apedemak. E’ Amon, re degli dei dell’Egitto faraonico, divinità ugualmente importante e adorata nel paese di Kush dove veniva rappresentato con le sembianze umane e con la testa di montone. Il luogo più potente dove la sacralità di Amon ha preso forma è nel Jebel Barkal di Karima, la “montagna pura” dei nubiani, considerata la dimore del dio Sole. 

Proprio a due passi dalla Rest House nella quale soggiorniamo, la sagoma della montagna dalla quale si stacca spontaneamente una colonnina che può ricordare la forma dell’Ureo (decorazione a forma di serpente cara agli Egizi), padroneggia l’orizzonte irradiandolo di forze, mentre ai suoi piedi si trovano le rovine del grande tempio dedicato ad Amon, e alcune piramidi dai profili molto stagliati prendono forma nella piana desertica ad occidente: sono le più belle piramidi del periodo kushita e insieme le più misteriose, tutt’ora in fase di interpretazione da parte di storici e archeologici.

Le necropoli di El Kurru sulle sponde del Nilo e quelle di Nuri completano l’incontro ravvicinato che la Nubia offre con i sovrani della XV Dinastia: un enigma che si snoda tra le sponde del Nilo, le dune di sabbia del Bayuda (il deserto bianco) e gli incontri a volte dirompenti di kafir (guardini dei siti), nomadi Shaqiya, fellahin (contadini del Nilo) con asini e cammelli al seguito. E che nel silenzio finale delle calde notti sudanesi rimbomba nel dormiveglia insieme al primo richiamo di un muezzin.

www.lastampa.it

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