Pin It

Di Pietro, Tonino dei misteri

di Maurizio Tortorella

Non c’è solo Pavlov. Nel passato dell’ex pm restano molte zone d’ombra inesplorate. A partire dalle sue strane dimissioni dalla magistratura per arrivare ai bilanci dell’Idv. Passando per i collegamenti con i servizi. Non soltanto italiani

Lo dicevano già alcuni cronisti nei primissimi anni Ottanta, quando ancora era un giovane ispettore e per le strade di Bergamo, pistola alla mano, arrestava i sequestratori: Antonio Di Pietro fa rima con «dietro».
Non avevano tutti i torti e lo dimostra anche il nuovo caso della fotografia sulla copertina di Panorama, che lo ritrae in compagnia del boss bulgaro Iliya Naidenov Pavlov: che cosa si nasconde «dietro» l’ex poliziotto ed ex magistrato, oggi leader dell’Italia dei valori? Spesso un mistero: esattamente come è stato ai primi di febbraio, quando il Corriere della sera ha mostrato le foto di una sua antica cena accanto a Bruno Contrada, l’ex numero tre del Sisde condannato per mafia, e ad altri agenti segreti. Anche due mesi fa Di Pietro non ha spiegato quasi nulla.

La storia dell’ex magistrato più famoso d’Italia, indiscutibilmente, contiene alcuni retroterra inesplorati. Non soltanto nel suo passato più remoto, là dove le biografie lo dipingono prima umilissimo operaio in Germania, poi tecnologicissimo dipendente dell’Aeronautica militare, quindi intraprendentissimo segretario comunale nel Comasco. Ma soprattutto nei suoi anni presso il tribunale di Milano, dove approda come sostituto procuratore nel 1985 e nel febbraio 1992 esplode come motore di Mani pulite, l’inchiesta più sconvolgente nella storia italiana. La stagione eroica per Di Pietro si chiude alla fine del 1994, con improvvise e strane dimissioni dalla magistratura. Un mistero.

Su quell’intrigo si accendono alcuni processi a Brescia e Di Pietro viene accusato di concussione. I pm Fabio Salamone e Silvio Bonfigli scoprono dalla voce dell’imprenditore Giancarlo Gorrini, all’epoca proprietario della Maa assicurazioni, che Di Pietro gli ha chiesto molti favori: prestiti personali per circa 100 milioni di lire, la cessione di una Mercedes usata che ne valeva altri 50, l’assegnazione di una casa a favore della moglie Susanna, un lavoro per il figlio Cristiano…

Perché quei piaceri? Non si saprà mai: l’attività investigativa di Salamone e Bonfigli viene bloccata da una serie di ostacoli e nessun procedimento riesce mai ad andare oltre l’udienza preliminare. Tranne uno: quello che si chiude nel gennaio 1997 con una sentenza del giudice Francesco Maddalo. In quel caso, però, Di Pietro non è l’imputato, ma la parte civile, il danneggiato. Gli imputati sono Cesare Previti e Paolo Berlusconi, rincorsi (e assolti) dall’accusa di estorsione per averlo indotto ad abbandonare la toga. Ma la sentenza rivela: «È indubbio che i fatti raccontati da Gorrini si sono realmente verificati; e alcuni rivestivano caratteri di dubbia correttezza». Soprattutto visto che a compierli è stato un magistrato «diventato nell’immaginario collettivo l’eroe nazionale e il punto di riferimento dell’azione giudiziaria contro la corruzione».

Il 10 marzo, quando escono le motivazioni della sentenza, i quotidiani quasi non se ne accorgono. Pare sussistere una protezione nei confronti dell’ex magistrato, come se si volesse preservarne l’immagine immacolata. Eppure, l’assoluzione è durissima proprio con lui: «Questi episodi» scrive Maddalo «rischiavano di prospettare un sistematico ricorso del Di Pietro ai favori di Gorrini, il quale peraltro alla data del novembre 1994 risultava già condannato per appropriazione indebita». E ancora: «Alcuni di questi atti erano decisamente idonei a un’iniziativa sul piano disciplinare» che non è mai arrivata da parte del Csm.

Misconosciute, la sentenza Maddalo e la vicenda Di Pietro-Gorrini sono state sepolte sotto versioni edulcorate, che appaiono quasi identiche sui blog di Di Pietro e di Marco Travaglio, il suo giornalista supporter. Tanto che c’è chi ipotizza che il secondo sia ormai divenuto il grande suggeritore del primo.

Poi c’è il capitolo dei rapporti fra Di Pietro e i servizi segreti, e anche questo è complesso. Non c’è solo il caso Contrada. Nel luglio 1995 Di Pietro viene interrogato da Salamone, a Brescia, e gli annuncia il suo «progetto strategico per il futuro». Testualmente, è «la direzione del Sisde, per ricominciare da dove ero rimasto». Ma anche questa rivelazione resta senza alcun approfondimento.

La cena del 1992 con Bruno Contrada

Poi ci sono i viaggi che Di Pietro fa negli Stati Uniti, tra 1995 e 1996, dove i critici pm ipotizzano contatti con ambienti vicini ai servizi. E non se ne sa quasi nulla. Così come nulla si sa del viaggio di Di Pietro alle Seychelles, nel 1984, sulle tracce del latitante Francesco Pazienza coinvolto nel crac dell’Ambrosiano. Perché il magistrato bergamasco Di Pietro diventa un segugio internazionale? Cosa cerca? Ha tentato di capirlo anche Gianfranco Lenzini, l’avvocato milanese che da anni tutela i piccoli azionisti dell’Ambrosiano, ma la sua richiesta di poter visionare il fascicolo processuale è stata respinta dal tribunale. Perché? Altro mistero.

Infine, resta la politica. E qui gli avversari di Di Pietro gli criticano la gestione personalistica dell’Idv. Del resto, fino al dicembre 2009 i bilanci, secondo il vecchio statuto, dovevano essere approvati solo dal presidente, cioè da Di Pietro. E lui ha sempre gestito la cassa con la tesoriera Silvana Mura, un’amica di famiglia ex commerciante di biancheria a Chiari (Brescia). Così, critiche sempre più puntute si sono affollate sui misteri dei bilanci dell’Idv. A partire dai primi soldi ricevuti in donazione, nel 1998, da Maria Virginia Borletti: 954 milioni di lire che la nobildonna ha destinato al movimento, ma non sono mai stati registrati nella sua contabilità almeno fino al gennaio 2009.

Con il nuovo statuto, varato appena un mese prima dell’ultimo congresso, Di Pietro ha cercato di parare il colpo. E ha affidato l’approvazione dei bilanci a un ufficio di presidenza. Però ha stabilito che sia il presidente (e lui solo) a nominare il tesoriere. Così poco è cambiato: perché è il tesoriere che gestisce i bilanci, su mandato vincolante di Di Pietro.

www.panorama.it

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna