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La donna che fa parlare i morti

Bestie di Satana, disastro di Linate e ora il caso Claps

Ecco come lavora Cristina Cattaneo, "CSI" all’italiana

di GIANLUCA NICOLETTI

Cristina Cattaneo è una giovane donna del Monferrato dagli occhi celesti. Ha un passato di ballerina e una passione segreta per il violoncello.

 

Quando l'ho vista per la prima volta nel suo laboratorio, all'obitorio di Milano, i suoi assistenti bollivano le ossa di un cadavere per farle tornare belle pulite.

Difficile toglierle gli occhi di dosso. In questo momento sta esaminando i capelli di Elisa Claps.

Per Cristina lo spazio del medico legale è assimilato alla notte, pieno di tenerezza, oscuro e intimo. «Nel mio lavoro mi occupo soprattutto delle vittime del male». Lei studia nei cadaveri di uccisi i segni degli assassini che li resero tali, altre volte restituisce la dignità di esistenza ai resti che non hanno più nome.

Il suo campo visivo raggiunge anche quelle persone che paiono morte, anche se ancora in vita. Sono le vittime di stupri, violenze, botte bestiali e atti di sadismo. «Noi non abbiamo mai un happy ending, le nostre storie non ammettono resurrezioni, ma per noi finire bene significa aiutare a fornire alla giustizia un lavoro scientifico».

Cristina ha come pensiero fisso il ristabilire una realtà professionale in un campo in cui l'«effetto CSI» ha seminato fantascienza.

E' più facile che nella sua attività lei usi la pala per sterrare dove le indica un cane da cadavere, piuttosto che il fanta rilevatore satellitare delle belle dottoresse dalle unghie laccate delle fiction tv.

Cristina fa dimenticare subito l'aspetto macabro del suo habitat. Il suo segreto è forse proprio di restar leggera, nella plumbea pesantezza di quel lavoro: «Molti colleghi dopo un po' non ce la fanno più di aver sempre a che fare con la morte, e tornano a fare i medici, non so se accadrà anche a me…».

Per ora il momento sembra lontano, Il suo cellulare squilla di continuo, ogni giorno, le vengono chieste perizie e pareri. «Ma c'erano ancora capelli?» capita di sentirle chiedere a chi le telefona mentre prende il caffè. Poi i sopralluoghi che la fanno girare in lungo e in largo per le scene del crimine, quei luoghi noti di cui leggiamo sui giornali e vediamo salotteggiare in televisione.

Cristina non partecipa ai talk show, anche se lei quei cadaveri, di cui si parla tanto volentieri seduti sui divanetti bianchi della tv, li conosce bene, ma perché se li è presi in braccio almeno una volta. Cristina al massimo scrive libri appassionati sulle storie dei suoi morti, a volte senza nome, a volte con nomi celebri.

Guai a dirle che sono romanzi, per lei sono le cronache esatte delle sue notti all'obitorio, passate a cercare i segni di un'arma da fuoco, le scheggiature di un coltello in una costa, una frattura, una malattia congenita, una traccia invisibile.

Quando era ancora ragazzina si divideva tra la passione per la danza e per il calcio femminile: «Ero una brava ballerina, soprattutto nella moderna, mi avevano chiamato a una selezione al Teatro Verdi a Torino».

Il padre però la fa partecipare con l'inganno a una selezione per un'università di scienze biomediche in Canada dove si trovava per lavoro in quel periodo, il destino è segnato, la prendono e da allora sarà un'ex ballerina.

Dopo la laurea rientra in Italia, oggi è responsabile del Labanof, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense di Milano.

Cristina lavora assieme a una squadra di maschi che pendono dalle sue labbra, all'occorrenza sono capaci di prendere i picconi e di mettersi a scavare dove pare sia un cimitero della mafia, o come quella volta che hanno trovato le vittime delle Bestie di Satana.

Può anche capitare che un parroco porti il teschio di un santo seppellito nella sua chiesa, perché vuol crearne una statua il più possibile veritiera. Si comincia a ricostruire con pazienza, gesso e plastilina rimettendo su muscolo dopo muscolo ed ecco venir fuori quello che potrebbe esser stato il volto.

Negli scaffali del Labanof assieme ai resti delle vittime di delitti, e le ossa di antichi guerrieri trovati da archeologi, giaccion quelle di poveri morti di miseria. «Questo è un bambino affetto da rachitismo, forse del '600, si fratturò, non fu curato, per quel che visse ebbe sicuramente un braccio piegato ad angolo retto». Mi dice tutto con due ossicini minimi tra le dita…

C'è infine la stanza degli scatoloni, quelli che contengono le ossa senza nome, o quelle che nessuno vuol più indietro. In uno di questi cartoni dorme quel che resta di un ragazzo nordafricano, ucciso chissà perché. Riuscirono a identificarlo, venne anche il padre a veder le ossa. Baciò il teschio e se ne andò senza mai più reclamarlo. Pensò forse che sarebbe stato meglio vicino alla dottoressa bionda, piuttosto che sotto terra.

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