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Pasquale Galliano Magno, avvocato, nasce il 25 febbraio 1896 a Orsogna, e muore a Pescara il 9 settembre 1974.

Figlio del notaio Eugenio.

Dopo gli studi classici a Chieti frequentò l'università a Macerata, dove si laureò in legge.

Nel 1927 sposò Maria Luisa D‘Angelo ed ebbe da lei due figli: Valeria, che conseguì la laurea in giurisprudenza presso l'università di Roma, e Carlo Eugenio, laureatosi anch'egli in legge, presso l'università di Bologna.

Entrambi i figli hanno svolto, nella città di Pescara, attività di avvocato.

Convinto antifascista e oppositore del regime, fu sindaco di Orsogna, suo paese natio, appena divenuto maggiorenne.

Fu il sindaco più giovane d'Italia, in quel tempo.

L'avvocato Magno ha esercitato la sua professione dapprima a Chieti e poi a Pescara.

Ha partecipato quale avvocato difensore della signora Velia Titta, vedova di Giacomo Matteotti, barbaramente ucciso da un gruppo di fascisti, al noto processo Matteotti svoltosi nel 1926 a Chieti.

L'istruttoria del processo iniziò nel giugno del 1924 presso il Tribunale di Roma.

Il giudizio fu poi rimesso dalla Corte di Cassazione alla Corte d'Assise di Chieti, con la risibile motivazione della sussistenza di gravi motivi di pubblica sicurezza.

È utile precisare che era già avvenuta, durante la fase istruttoria effettuata a Roma, la costituzione nel processo della signora Velia Titta vedova Matteotti, quale parte civile e il ritiro della costituzione suddetta con nomina a suo difensore dell‘avv. Magno che per incarico e procura conferitagli dalla signora Velia Titta, svolse attività professionale in Chieti nei vari atti istruttori che precedettero la fase dibattimentale.

Non intendendo più soggiacere a soprusi e malefatte, la signora Velia Titta, pur facendo le più ampie riserve per l'esercizio delle azioni civili a lei spettanti nei confronti di tutti gli imputati, si vide costretta, date le angherie subite e lo spirito poliziesco che aleggiava nel processo, a non partecipare alla successiva fase dibattimentale.

Va detto in proposito che i magistrati, i quali avrebbero dovuto rendere giustizia, (influenzati anche dallo stato di coartazione morale stabilito dal fascismo), si limitavano costantemente ed in maniera del tutto riprovevole, ad osteggiare e disattendere le varie istanze, all'evidente scopo di insabbiare il processo e comunque operare il salvataggio completo degli assassini di Giacomo Matteotti, dei loro complici e mandanti, tanto che l'avvocato Magno contestò in giudizio, pubblicamente, quello che definì "un processo burla".

Va anche detto in merito, per meglio chiarire il vergognoso andamento della vicenda, che persino le richieste e le supplichevoli istanze, intese ad ottenere la restituzione degli effetti personali appartenenti alla vittima, vennero inopinatamente respinte!

Il motivo per il quale fu scelta la città di Chieti può essere desunto anche dal fatto che essa, all'epoca, aveva ironicamente la nomea di città “della camomilla”.

La Corte d'Assise di Chieti era composta dal Presidente Giuseppe Danza, dalla pubblica accusa Alberto Salucci nonché dai giurati.

Detta Corte d'Assise con ignobile, vergognosa sentenza, ritenne di dover condannare i soli imputati Dumini Amerigo, Volpi Albino, e Poveromo Amleto per il reato di omicidio preterintenzionale.

Fu esclusa la premeditazione e furono concesse le attenuanti generiche.

I tre assassini furono condannati alla ridicola pena di cinque anni, mesi 11 e giorni venti di reclusione, nonché all'interdizione dai pubblici uffici.

Si rese necessaria, dopo la liberazione dell'Italia dal regime fascista, la celebrazione di un nuovo processo, a carico di tutti gli imputati, definito con la sentenza del 4 aprile 1947 che condannò Dumini, Viola e Poveromo alla pena dell'ergastolo, poi commutata nella reclusione per trent'anni.

È il caso di aggiungere che l'abitazione e lo studio professionale dell’Avvocato Magno, nel palazzo Tella, via dello Zingaro 5 in Chieti, furono oggetto di varie perquisizioni e di sequestri di atti e documenti inerenti al processo.

Solo poche lettere e veline di comparse furono salvate, nascondendole altrove.

L'epoca era quella di un fascismo violento, quando i magistrati, anche i più noti di essi, ricevevano ordini che scendevano dall'alto.

Le famose “squadracce” fasciste costrinsero l'avvocato Magno ad ingurgitare una considerevole quantità di un liquido, che altro non era che olio di ricino, bastonandolo, come umiliazione e “castigo” per l'attività che stava esercitando, con impegno, lealtà e rettitudine, nel processo.

Iniziò così contro di lui il periodo dei soprusi e delle persecuzioni, durato fino al crollo del fascismo.

La gratitudine della signora Velia Titta per l'opera professionale che l'avvocato Magno stava svolgendo nel processo, risulta attestata nella lettera che la predetta gli inviò in data 29 marzo 1926.

Si legge in essa:“confermo fin d'ora la mia riconoscenza per quanto potrà fare in materia che tanto mi sta a cuore“.

E si legge ancora: “Colgo l'occasione di ringraziarla per ciò che ella ha fatto in questo doloroso frangente, convinta che le venga resa tanta stima e considerazione da tutti coloro che ancora hanno e possono apprezzare la bontà d'animo e la dirittura della coscienza”.

All'uopo va detto che con l'istanza, scritta di suo pugno e datata 29 marzo 1926, Velia Matteotti faceva presente e lamentava che non le era stato ancora restituito “ciò che apparteneva al suo defunto marito” e che “si trattava di altissimo valore morale specialmente per la vedova e gli orfani del defunto”.

E poi oltre scriveva:” Salvo errore le cose da restituire sono le seguenti: -lettera ferroviaria - una ciocca di capelli - falangetta - giacca e pantaloni (compresa la manica staccata)”.

A conclusione dell'istanza dichiarava: “la sottoscritta delega per il ritiro di quanto sopra l'avv. Pasquale Galliano Magno di Chieti”. Seguiva la firma “Velia Matteotti” e la data “Roma 29 marzo 1926”.

Con successiva lettera 2 aprile 1926, inviata all'avvocato Magno, la signora Velia Titta così scriveva: “Mi lusingo che la sua premura e la volontà del buon esito in un atto pietoso, arrivino a superare le difficoltà possibili, di una pratica così delicata. Le esprimo la mia riconoscenza per quanto potrà fare”.

Anche in questo suo ulteriore scritto la signora Velia Titta confermava, attestava e ribadiva l'apprezzamento e la stima che provava per il professionista che, con tenace impegno, aveva cura dei suoi legittimi interessi.

Nel dopoguerra l'avvocato Magno ha svolto incarichi politici e varie attività: è stato Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale, ha svolto nell'immediato dopoguerra le funzioni di vice Prefetto Politico per volontà degli Alleati, che lo scelsero anche per poter meglio controllare, in zona, l'attività politica degli italiani nel periodo della defascistizzazione e epurazione.

Ebbe contatti con Scoccimarro, Togliatti e Rita Montagnana che ospitò in occasione dei comizi da essi tenuti a Pescara.

Esercitò con equilibrio il suo compito, spesso in contrasto con chi perseguiva con violenza gli ex fascisti.

A tale proposito, nel 1945 svolse attività di mediazione e protezione nei confronti dell'ex ministro fascista, barone Giacomo Acerbo, che poté trovare rifugio presso i suoi coloni nell'agro di Loreto Aprutino, sfuggendo alla giustizia sommaria di alcuni epuratori.

Durante il successivo periodo di carcerazione Giacomo Acerbo nominò l'avv. Magno - benché avversario politico-amministratore unico del suo cospicuo patrimonio, comprendente tra l'altro la preziosa collezione delle famose ceramiche antiche di Castelli, fino al 1951, anno della sua riabilitazione, e lo ritrovò intatto.

-Tutto questo non fu senza conseguenze: nel 1945 il prefetto Pace fu rimosso dall'incarico e l'avv. Magno, capolista e promotore del PCI-PSI, coalizione che costituì il famoso “caso Pescara”, fu eletto, ma per i suoi atteggiamenti di moderazione non condivisi, la sua candidatura a deputato non fu appoggiata.

Non vedendo possibile l'attuazione di quei valori di giustizia e di illuminato equilibrio nei quali aveva sempre creduto, la delusione fu profonda e si ritirò definitivamente dalla politica attiva.

Svolse comunque la funzione di Presidente dell'Ospedale Civile di Pescara e quella di Commissario Governativo alle Ferrovie Elettriche Abruzzesi (F.E.A.), in diretto contatto con il ministro dei trasporti Ugo La Malfa, facendo effettuare la ricostruzione della linea ferroviaria elettrica Pescara-Moscufo-Penne, dal 1945 al 1947.

Fu anche Presidente del Consorzio per l'Acquedotto della Valle di Foro.

Va altresì detto e ricordato che la signora Velia Titta donò, con un gesto di gratitudine e riconoscenza, la penna stilografica del defunto suo marito all'avvocato Magno, penna che suo figlio, avvocato Carlo Eugenio Magno, oggi custodisce presso un istituto bancario.

tutti pazzi per la Civita

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Pasquale Galliano Magno: indomito oppositore del fascismo

di Filippo Paziente, storico

La storica cerimonia dell’intitolazione dell’aula di Corte d’Assise di Chieti a Giacomo Matteotti, che si svolse il 7 ottobre 2011 per iniziativa dell’Associazione Culturale “Foro Teatino”, seguita da un convegno sul tema  “Il processo penale. Doveri dell’avvocato – Doveri del giudice” (moderatore l’avv. Luigi Orsini), ricevette commenti positivi sulla stampa.

Tuttavia, in alcuni articoli, non mancarono critiche ai relatori, perché, ricordando il processo Matteotti celebrato a Chieti, non spesero una parola sull’avvocato Pasquale Galliano Magno, del Foro Teatino, difensore della vedova e dei figli del deputato assassinato.

Le scarne notizie storiche su Magno contenute nei commenti giornalistici riguardarono esclusivamente il suo comportamento durante il processo e le persecuzioni subite negli anni successivi. Sulla stampa la signora Marina Campana, nuora dell’avvocato, espresse più volte la sua delusione, con accuse circostanziate, per la mancata soluzione del problema, da lei ripetutamente denunciato, della custodia dei documenti e della biblioteca del suocero.

Il 4 giugno 2012 il giornalista Francesco Totoro mi ha informato che sta lavorando con lei alla ricostruzione della figura storica dell’avv. Magno. In effetto, manca una biografia completa del personaggio.

Chi scrive ne ha ricostruito ampiamente le vicende politiche, rimaste ignote ai più, concernenti solo gli anni dal 1920 al 1926, nel libro La provincia di Chieti da Giolitti a Mussolini (1915-1929), (Chieti, Edizioni Noubs, 1999). In questo articolo ne trascrivo una brevissima sintesi. Chi è interessato al personaggio, può leggere il libro, introvabile nelle librerie, ma consultabile nelle quattro biblioteche provinciali della regione.

Pasquale Galliano Magno nacque a Orsogna il 25 febbraio 1896. Era nipote del notaio Giuseppe Magno, segretario particolare di Francesco Saverio Nitti.

Frequentando l’entourage dello zio, si era nutrito delle sue idee liberalriformiste.

Ma nella temperie sociale e politica del primo dopoguerra maturò un orientamento più sensibile ai problemi sociali.

Nel 1920, per celebrare la festa del 1° Maggio, Guido Torrese, fondatore il 6 luglio 1919 della Camera del Lavoro di Chieti, invitò Giacomo Matteotti a tenere un comizio in Piazza Valignani e a compiere un giro di propaganda in diversi comuni della provincia.

Fu certamente l’incontro col giovane deputato di Fratta Polesine a far maturare nell’animo di Magno (e di altri intellettuali: gli avvocati Antonio Dazio di San Vito Chetino e Luigi Orlando di Guardiagrele; il dott. Gabriele Impicciatore di Bomba; il farmacista Germano De Cinque di Casoli; l’insegnante elementare Nicola Monaco di San Giovanni Lipioni) la decisione di iscriversi al Partito Socialista e di partecipare attivamente alla vita politica. Nelle elezioni amministrative di ottobre del 1920 guidò i compagni alla conquista del suo Comune e fu eletto sindaco.

Rimase fedele al Partito Socialista anche dopo la scissione di Livorno e durante il ventennio mussoliniano. Gli squadristi lo colpirono più volte, ma non riuscirono a imporgli l’abiura delle sue idee.

Il 17 aprile 1921 i principali dirigenti del socialismo regionale erano riuniti nella Camera del Lavoro di Vasto, intenti a preparare la lista per le elezioni politiche di maggio.

Squadristi di Gissi, Carpineto Sinello, Casalanguida, Liscia, San Buono, accorsi per dar manforte ai fascisti locali, aggredirono e pestarono a sangue, a colpi di randello, i socialisti e li costrinsero a ripartire. Poi devastarono e incendiarono la Camera.

Alla vigilia della marcia su Roma i fascisti intensificarono le violenze, per costringere gli oppositori alla resa. Magno rifiutò di dimettersi dalla carica di sindaco, denunciando al prefetto le minacce ricevute dagli squadristi di Guardiagrele, istigati da Guido Cristini.

Il 14 novembre, alla stazione di Ortona, subì, per ritorsione, l’umiliazione della purga, per mano di tre squadristi rimasti impuniti. Il 5 gennaio 1923, novello Alighieri, fu costretto ad abbandonare il suo paese.

I fascisti misero perfino su di lui una taglia di mille lire per chi ne avesse denunciato il ritorno clandestino. Nonostante le violenze subite, i socialisti di Orsogna, Paglieta e Gissi non accettarono di firmare la resa, consegnando le bandiere e i documenti delle sezioni.

Per stroncarne la resistenza, i fascisti ricorsero alla denuncia per delitto politico, confidando nella complicità delle forze dell’ordine e della magistratura. Il 6 febbraio i sindaci dei tre Comuni, Magno, Canziano Di Nella e Alberto Argentieri, indiziati di attività sovversiva, furono arrestati.

Scarcerati il 19 febbraio, furono rinviati a giudizio davanti alla Sezione d’Accusa della Corte d’Appello dell’Aquila, con l’imputazione di aver commesso atti diretti a mutare violentemente la costituzione dello Stato e la forma del governo.

La Corte, però, deluse le attese dei fascisti, emettendo sentenze di assoluzione per i tre imputati.

Nella primavera del 1924 si svolsero le elezioni amministrative.

Tra i socialisti ormai allo sbando, solo quelli di Orsogna, in contatto con Magno, che svolgeva la sua attività professionale nell’esilio di Chieti, ebbero il coraggio di presentare una lista. Il 12 marzo, su “La Giustizia”, organo nazionale del Partito Socialista Unitario, fu pubblicato un articolo, non firmato, Come si conquistano i comuni.

Il corrispondente scrisse che a Orsogna le elezioni, dirette personalmente da Raffaele Paolucci, si erano svolte in un ambiente di terrore. […]

La mattina della votazione tutto lo stato maggiore del fascismo provinciale era nella piazza di Orsogna, non escluso l’on. Paolucci.

All’ingresso delle sezioni tavoli con dei fascisti addetti a controllare e registrare in modo aperto e pubblico i nomi dei votanti e degli astenuti; per le campagne, squadre di armati lanciati alla ricerca e alla caccia degli elettori.

L’articolo fu attribuito dai fascisti a Magno. Due giorni dopo, in Piazza Valignani, fu affrontato a muso duro, offeso e schiaffeggiato dal ventenne squadrista di Orsogna Erminio Fosco.

Quando si diffuse la notizia dell’assassinio di Matteotti, i socialisti, guidati da Magno, parteciparono clandestinamente alle iniziative promosse dagli organi nazionali, aprendo anche una sottoscrizione per l’erezione di un monumento marmoreo in Roma, tramite la distribuzione di cartoline con l’effigie del Martire, medagliette e francobolli commemorativi.

Magno, riconosciuto leader del movimento di resistenza, fu tra i più attivi promotori dell’aggregazione dei nuclei antifascisti in Comitati di opposizione, che non si diedero per vinti neppure dopo il minaccioso discorso di Mussolini, il 3 gennaio 1925, alla Camera.

Il 24 marzo i socialisti si riunirono per l’ultima volta a congresso. Approfittando della presenza a Orsogna di oltre 15.000 persone richiamate dalla tradizionale fiera dell’Annunziata, si fecero beffa delle rigide misure di vigilanza, convenendo alla spicciolata nell’abitazione del notaio Giuseppe Magno. A conclusione dei lavori elessero l’avvocato Magno segretario provinciale.

È a questo “matteottiano”, strenuo difensore delle fondamentali libertà democratiche anche a rischio dell’incolumità personale, che i tre legali della famiglia Matteotti, Emanuele Modigliani, Ferdinando Targetti ed Enrico Gonzales, affidarono il rischioso compito di procuratore della vedova Titta Velia, nel processo contro gli assassini del marito. Velia si era costituita Parte Civile, credendo di ottenere giustizia.

Ma quando si rese conto che “il processo, il vero processo, a mano a mano svaniva” e che, dopo la rimessione del giudizio, con sentenza della Cassazione del 21 dicembre 1925, alla Corte di Assise di Chieti, non ne rimaneva che “l’ombra vana”, con una lettera inviata il 18 gennaio 1926 al presidente della Corte, revocò la suddetta costituzione, affidando la sua difesa all’avv. Magno.

Il giovane procuratore ne curò con grande impegno i legittimi interessi durante la fase istruttoria, contestando pubblicamente in giudizio il servile operato dei magistrati, che respinsero perfino l’istanza intesa a ottenere la restituzione alla moglie e ai figli degli effetti personali della vittima.

Nella Corte d’Assise di Chieti “l’ombra vana” si trasformò in farsa, la tragedia in commedia.

Velia Matteotti nutrì nei confronti dell’avv. Magno un duraturo sentimento di gratitudine. Era convinta che gli sarebbero state rese “stima e considerazione da coloro che sanno e possono apprezzare la bontà d’animo e la dirittura della coscienza”.

Finora la sua convinzione non ha avuto molte conferme.

Pasquale Galliano Magno fu un uomo di alto profilo morale: combatté il fascismo tenendo la schiena dritta; subì persecuzioni, ma non si arrese, per amore di Giustizia e Libertà.

Abbiamo il dovere di preservarne la memoria dall’oblio, completando la ricostruzione storica della sua biografia, ma anche provvedendo tempestivamente a trasferire e conservare, in luoghi adatti, i documenti (alcuni, salvati dalle perquisizioni fasciste, concernenti il processo di Chieti) e i libri, di grande interesse storico, dell’archivio e della biblioteca di famiglia, rendendoli disponibili alla consultazione degli studiosi.

Il figlio Carlo Eugenio e la nuora Marina Campana hanno chiesto il sostegno finanziario di enti istituzionali, ma hanno ricevuto finora risposte elusive o negative.

Un luogo adatto alla conservazione del carteggio del processo, oltre a quelli proposti dall’avv. Pierluigi Tenaglia in un articolo sul “Foro Teatino” del febbraio 2012 (la sede dell’Ordine degli Avvocati di Chieti, forse il luogo più idoneo) e dagli storici Mauro Canali (l’Archivio Centrale dello Stato) e Claudio Modena ( la Casa Museo di Fratta Polesine), potrebbe essere l’archivio della Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati”, con sede in Firenze, che ha già acquisito fondi di altri dirigenti socialisti, di grande interesse e valore.

tutti pazzi per la Civita

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